YES WE MASK MA LET’S GO! IL GOVERNO SI DIA UNA MOSSA: SANITA’ E PREVENZIONE SUBITO. ECCO LA CURA

L’epidemia c’è, può essere letale, distruttiva, pericolosa. Gli ospedali e le terapie intensive che tornano a riempirsi, i posti letto che scarseggiano, i tamponi rapidi che non arrivano, i numeri che fanno impressione. Il covid che ci costringe al distanziamento e al rispetto delle regole.

Yes we mask, sì, indosseremo la macherina, perché ci vuole rigore e non solo prudenza e “le mascherine stanno svogendo un ruolo fondamentale”, dice Francesco Le Foche, immunologo clinico de La Sapienza- “ma l’Epidemia è domabile e lo sarà entro aprile 2021”. Ottimista lui, l’immunologo, nella guerra da first lady degli immunologi che sforano un giorno sì e l’atro pure in tv. Giusto, rispetteremo le regole perché siamo un popolo di poeti, di santi, di eroi.. Ma fessi no, fessi non siamo. Perché l’epidemia è un problema di sanità pubblica come dice pure Crisanti, altro immunologo. “E se non si investe in prevenzione e in sorveglianza i casi sono destinati ad aumentare”. Ipse dixit, ma lo avevamo afferrato anche da soli. Come pure abbiamo ben chiaro che le mascherine e il distanziamento aiutano, ma da soli non sono in grado di bloccare la trasmissione del virus.

“Non scordiamoci la dialettica di giugno, luglio e agosto quando si parlava del virus che era morto. Queste affermazioni- rincara- hanno avuto un impatto. Se la società scientifica fosse stata più unita e solidale forse avrebbe avuto modo di avere voce in capitolo. Se avessimo investito pesantemente in prevenzione e sanità pubblica è chiaro che non ci saremmo trovati in questa situazione”.

E allora la colpa del ritorno non è solo della disattenziome dei cittadini e del relax estivo. Ma il nodo è a monte: il problema è del virus gestito all’italiana, il problema è delle lentezze, degli omissis, dei ritardi. E di quei 3,4 miliardi messi a disposizione del Governo e dei quali ne sono stati spesi poco più di un terzo. Dove erano nel post covid Conte e compagni? Tempo non ce n’è più per parlare senza fatti. Da inzio pandemia sono state realizzate metà delle terapie intensive previste e, se la curva dei ricoveri dovesse impennarsi, alcune regioni, in primis Campania e Lazio, potrebbero andare in lockdown. E sul vaccino antinfluenzale? Solo caos. Hanno ( e non di certo gli italiani) perso tempo. Tempo prezioso.  Ora ci ritroviamo: file ai drive-in per i test e negli ambulatori, ospedali non adeguatamente attrezzati. E siamo alla seconda ondata. Che va contenuta con l’ottimismo dei giusti mezzi e strumenti a disposizione della nostra sanità, la quale, invece, non avendoli, non è pronta per convivere con il virus. Basta guardare i numeri. Il rapporto consegnato a Palazzo Chigi dal commissario all’emergenza Covid Domenico Arcuri il 9 ottobre recita che i posti letto sono 6.458, uno ogni 9.346 abitanti. Si tratta di un quarto dei posti in più di quelli a disposizione all’inizio dell’anno, appena la metà di quelli programmati dal ministero della Salute. Per il momento – spiega Arcuri – sono occupati appena il 6 per cento dei posti. Ma se la curva dei ricoveri dovesse impennarsi alcune Regioni potrebbero trovarsi rapidamente in difficoltà e i nuovi posti letti sono quasi tutti al Nord. Sono 5.120 contro gli 886 del Centro e i 1.664 del Sud. 19 maggio il decreto «Rilancio» ha stanziato 1,9 miliardi per il potenziamento delle strutture sanitarie. Solo ora, a cinque mesi di distanza, le Regioni hanno iniziato a presentare piani per spendere 734 milioni di euro. Nove hanno chiesto ad Arcuri di fare da sole (Abruzzo, Campania, Emilia, Liguria, Puglia, Sicilia, Valle d’Aosta, Trento e Bolzano) tre sono in ritardo, le altre riceveranno i fondi dal commissario su richiesta dei direttori generali delle Asl. Un bel guaio! E la ricetta non è il lockdown. Quello no, il popolo dei “santi” e dei medici eroi, non lo sosterrebbe.

 

 

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