CONTE IN BILICO TIENE L’ECONOMIA IN COMA FARMACOLOGICO

Dalla dittatura sanitaria al coma farmacologico dell’economia: è una strategia da rianimazione quella dell’azzoppato Governo Conte due, forse ter, in crisi e in bilico dopo la piccola risicata fiducia al Senato, e che plasticamente rivela quale sia il progetto di politica economica che gli assistenzialisti grillini e i post cattocomunisti del Pd hanno in testa. Basterebbe leggere la legge di bilancio o il fantomatico documento sul Recovery Fund per concludere che siamo davvero un Paese da ricovero e non da next genaration. A dirlo sono le cifre e le scelte sin qui compiute. Bankitalia nel suo ultimo bollettino ha fatto sapere che nel quarto trimestre 2020 il Pil è sprofondato ancora di altri tre punti e mezzo e il che, proiettato sull’anno in corso, allontana la speranza di ripresa e ne diminuisce la portata: se arriviamo al 3,5% è quasi un miracolo. Peccato che Roberto Gualtieri, ministro dell’Economia, abbia scritto tanto nella Nadef (nota aggiuntiva al documento di economia e finanza) quanto nella legge di bilancio che si aspetta un rimbalzo del Pil del 5 per cento. Anche perché avendo portato il debito alla soglia del 168% sul Pil (dato che si perfeziona con l’annunciati scostamento di bilancio da 32 miliardi varato due sere fa) o si fa conto su di una ripresa robusta (che non c’è e che non viene minimamente incoraggiata) oppure si dichiara fallimento. Bankitalia dice anche un’altra cosa: attenzione perché le banche soprattutto quelle piccole e di territorio rischiano grosso. Non facciamo che riscatta un nuovo bail-inn di renziana memoria perché allora condanniamo davvero il Paese alla morte per asfissia. Peraltro con un tempismo che solo uno scrittore di thriller poteva immaginare sono entrate in vigore le nuove norme bancarie europee che mandano in sostanziale pre-fallimento chiunque abbia uno scoperto anche misero di conto corrente. Risuonano ora come le profezie della Pitia le parole di Mario Draghi che appena una decina di giorni fa presentando il documento economico al G-30 ha ammonito: o gli Stati si fanno carico del deibito delle imprese e soprattutto delle Pmi o il disastro sarà totale. Questo è il momento per gli Stati di fare debito buono cioè indirizzato agli investimenti e alla produzione. Gli antichi quando l’oracolo di Delfi parlava ci stavano attenti, in Italia alla Pitia-Draghi non l’hanno manco sentito. Perché invece di debito per patrimonio si continua a fare debito per cassa e si va avanti a colpi di bonus, di redditi d’emergenza, di casse integrazioni, ma di puntare alla ricostituzione del tessuto produttivo non se ne parla. Eppure nella nostra Costituzione all’articolo Uno sta scritto: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Tutti si preoccupano di Stefano Patuanelli ministro per lo Sviluppo – si fa molto per dire – economico allo stesso Gualtieri, dalla ministra al Lavoro Nunzia Catalfo che dovrebbe perdere il ministero per impossibilità dell’oggetto sociale, al ministro per il Sud Giuseppe Provenzano della tattica del sussidio e del sostegno al reddito piuttosto che della strategia per la creazione di lavoro attraverso snellimento burocratico, abbattimento fiscale, protezione del captale delle imprese. La prova sta ancora nei numeri. Sappiamo che il reddito delle famiglie italiane – nel primo semestre del 2020 – si è contratto di 8,8 punti percentuali, la maggiore perdita mai registrata dal dopoguerra. Solo un incremento di trasferimenti pubblici ha fatto sì che il reddito disponibile lordo non crollasse oltre il 3,9% perché la mano pubblica è intervenuta con un sostegno al reddito pari al 5,1% con un aumento della spesa in sussidi del 60,3%. Ma non vi è stata alcuna politica attiva del lavoro: finite le elemosine si fa la fame! Sappiamo per converso che è molto aumentato anche il risparmio per effetto del crollo dei consumi arretrati del 9,8 per cento, risparmio che si è attestato 51,6 miliardi nel primo semestre con un incremento di 9 punti percentuali. Ma nulla è stato fatto per indirizzare il risparmio a sostegno del capitale delle imprese, anzi si è usata Cassa Depositi e Prestiti (uno dei pochi collettori del risparmio da indirizzare a sostegno della produzione) per alimentare la spesa corrente. Ci sono altre cifre da leggere in trasparenza. La propensione agli investimenti è di fatto azzerata e la produzione industriale è in caduta libera. Siamo il terzo peggior paese d’Europa con una contrazione del 4,2 per cento a novembre. Ma mentre su base annua l’Eurozona perde lo 0,6% e l’Europa a 27 perde lo 0,4% l’Italia arretra dell’1,4%. Facendo un po’ di analisi di queste cifre si ricava che l’Italia è piantata, non ci sono investimenti, si produce di meno, le famiglie sono più povere e la crisi è sia di produzione che di domanda. Con il rischio che il sistema bancario non riesca a offrire quell’ammortizzatore della crisi che soprattutto per le Pmi è indispensabile.
Ebbene a fronte di questo quadro il Governo agonico di Giuseppe Conte offre questa ricetta economica: cassa integrazione prolungata fino a tutto marzo con l’opzione di estenderla a tutto il 2021 (giova ricordare che ogni mese di cassa costa 4 miliardi!); conferma del redito di cittadinanza, ma sterilizzazione delle pensioni; blocco degli sfratti; sostegno all’immigrazione; reiterazione dei bonus e varo dei ristori. Va detto per inciso che ai diversi decreti ristori mancano a oggi 145 decreti attuativi il che spiega perché i soldi non sono mai arrivati alle imprese. Mentre stanno arrivando perché nessuno li ha ancora bloccati i 50 milioni di cartelle fiscali E’ una strategia da coma farmacologico dell’economia. Non c’è nessuna spinta allo sviluppo, non c’è nessuna riforma fiscale, non c’è nessun sostegno ai consumi magari con un azzeramento temporaneo e selettivo dell’Iva, non c’è alcuna politica energetica ed infrastrutturale, non c’è nessun intervento sulla ricapitalizzazione del sistema produttivo. E questo dimostra di che pasta è fatto questo governo: garantire i garantiti, sussidiare invece che sviluppare, tosare la piccola e media impresa con il pregiudizio che tanto lì si nasconde l’evasione fiscale. Così il fallimento è sicuro. Una trascurabile nota a margine. In piena pandemia il Governo attraverso il ministro dell’economia Roberto Gualtieri ha accordato a FCA (ex Fiat) la garanzia per 6,3 miliardi per un prestito che il gruppo ha contratto con Intesa San Paolo. Per giustificare questa esposizione monstre del Governo il ministro Gualtieri disse: “E’ un’operazione di sistema con la quale si punta a preservare e rafforzare la filiera automotive italiana e a rilanciare gli investimenti, l’innovazione e l’occupazione in un settore strategico per il futuro economico e industriale del Paese”. Bene. Dieci giorni fa FCA si è fusa con PSA-Peugeot e ha dato vita a Stellantis quarto gruppo automobilistico mondiale a direzione francese. Nel contempo di FCA in Italia sono rimasti solo alcuni stabilimenti, la Iveco (camion e veicoli da lavoro) sta per essere venduta ai cinesi e la Exor – la finanziaria della famiglia Agnelli, una galassia di percettori di cedole che va dagli Elkan ai Rattazzi – attraverso FCA ha distribuito un dividendo straordinario di 1,84 euro per azione pari a 2,9 miliardi di euro. Per tutto il turismo che vale all’incirca 120 miliardi per l’Italia nel Recovery Plan di prima stesura c’erano solo 3 miliardi in sei anni.

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