CRISI: ILTEMPO È DENARO E STA PER SCADERE

Il tempo è denaro, ma il denaro è agli sgoccioli e il tempo è scaduto. Due settimane per rafforzare la flebile maggioranza in vista del rimpasticchio di un governo mal ri-fiduciato e ancor più indebolito con la mannaia – avvertimemento ufficiale – dell’Europa all’Italia per voce di Dombrovskis, un monito che ha un preciso destinatario: il ministro dell’Economia Gualtieri. In realtà la “voce” dell’Europa si era già fatta sentire, seppur con maggior fair play solo tre giorni fa. “Il Recovery è una buona base di partenza, ma va rafforzato”. Tradotto: chi deve attuare il piano? Quale la cabina di regia? Il punto non detto è che abbiamo già 180 miliardi di debito pubblico aggiuntivo al quale vanno sommati 32 miliardi dello scostamento votato ieri sera. Ed ora che nel piatto pare siano finite le carte dell’Agricoltura e della Famiglia, potrebbero esserci problemi di tenuta anche per il ministero cardine, quello dell’Economia. Un bel problema per il pd che proprio ora dovrà tutelare la posizione di Gualtieri, colui che ha scritto il Recovery, uomo poco gradito a Renzi e per la verità poco simpatico allo stesso partito democratico che adesso dovrà far di tutto per farlo rimanere saldamente e fieramente in sella con l’obiettivo di prolungare i giorni del governo.

Intanto, alla fine di un’altra estenuante giornata di attesa, di pensieri, ripensamenti e rinvii, un’agonia per il Paese, il Conte in serata si convince a salire al Colle, molto atteso dal Capo dello Stato. “Con Renzi non si torna”, questo è quanto emerge dal colloquio, un no secco al rottamatore. “Ma i numeri non bastano”.

E allora ecco aprirsi la via crucis, si affacciano mesi durissimi nei lavori in commissione. Conte non vuole mollare ( “dimettermi e perché mai”?, diceva ieri l’altro al Senato”) ma i conti non tornano. I retroscena dicono che non vuole mollare, che starebbe spendendo tutte le sue energie, “due settimane e poi mi dimetto”. Ma stiamo alla scena. E la scena è assai triste. Qui si tratta di “trasformare i casi di coscienza in un caso politico”, dice qualcuno, e di appoggiarsi ai “costruttori responsabili”. E però succede che tra i vari casi di coscienza- adesso si chiamano non più “truppe mastellate”- (lo stesso Mastella si autocita, richiamandosi allo storico epiteto datogli da Giampaolo Pansa) il più dirompente per forma e sostanza porta il nome del senatore Lello Ciampolillo, che ha salvato in extremis il governo. Lui è un ex dei Cinque Stelle, che dopo aver fatto scattare il “Var” al termine della votazione in Senato, candidamente dichiara: “Mi piacerebbe fare il ministro dell’Agricoltura”. E quello che era uno spiffero diventa una tragicomica verità. Campolillo ( secondo il quale la xylella si curerebbe con il sapone e le onde elettromagnetiche) si candida a prossimo ministro dell’Agricoltura con buona pace della coriacea Bellanova. Una manna per l’opposizione che ha la strada sempre più spianata ad infierire. L’aria che si respira è comica e surreale e su questa “leggerezza” scenica si innestano i giochi, le alleanze, le strategie, le trattative dei politici navigati e di qualche navigante.

Scampoli di stampelle di Campolillo a parte, veniamo ad una panoramica degli attori in campo. Per primo Renzi, allo stato attuale l’uomo più impopolare d’Italia, che dopo aver provocato la crisi, mentre si consuma il passaggio al Colle, e dopo aver etichettato il premier come il “Conte dimezzato”, signorilmente posta la sua enews scrivendo di essere “ovviamente” sempre impegnato con il suo partito “per l’interesse del Paese” e sempre pronto “a dare una mano facendo sentire in Aula il peso della nostra presenza”.
Intanto agisce per minare ancor di più, se possibile, i cinque stelle ( politicamente non pervenuti perché nella crisi hanno finto di non esistere) e scollarli dal pd. “Se è vero che pd e grillini sono così uniti, allora a Roma di sicuro voteranno insieme Virginia Raggi”- ha detto l’atra sera a Porta a Porta. Provoca il pokerista, mentre insiste nel premere sul centro politico ( che esiste eccome) per recuperare i moderati. Un progetto perseguito dal ministro Franceschini, l’uomo delle trattative, impegnato in tutti i modi ad allargare i numeri della maggioranza e che sterza tutto verso i moderati dichiaratamente: “L’obiettivo è di allargare la maggioranza a tutti i moderati che stanno con grande disagio in una alleanza a guida Salvini e Meloni, per sostenere una linea europeista e approvare una legge proporzionale che liberi il Paese da alleanze forzate”. Tant’è che ieri lo stesso Franceschini ha citato varie volte Paolo Romani, ex forzista fedelissimo di Berlusconi, ora schierato con Toti, sentitamente moderato. Un appello molto apprezzato anche dall’ex ministro socialista Claudio Martelli, “un passaggio interessante per quanto riguarda il cambiamento della legge elettorale”, con la benedizione della cattolica Paola Binetti dell’Udc. L’idea del pd dopo il lungo vertice di ieri a Palazzo Chigi è quella di rinforzare l’alleanza di governo con la nascita di un gruppo centrista mentre Goffredo Bettini fa il temerario: “Bisogna allargare la maggioranza o elezioni, il Pd non le teme”. Perché è inutile girarci intorno: la maggioranza semplice è una maggioranza povera e nelle commissioni potrebbe essere un Vietnam. Il governo non avrebbe la maggioranza se non in commissione Esteri, e sarebbe in minoranza tra l’altro nella commissione Affari Costituzionali, dove si dovrebbe discutere della nuova legge elettorale che Conte ha promesso durante l’ultimo discorso in Aula, e nella commissione Bilancio, dove invece si tratterebbe il recovery plan. Tanto che alcuni ministri riterrebbero ad alto rischio il passaggio verso un Conte ter. Un disas-ter.

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