Si gioca una partita durissima a Bruxelles: l’imminente uscita di scena della Merkel scatena i sovranismi. La prova? La fuga per i vaccini di Austria e Danimarca (non ha l’Euro) che flirtano con Israele. Il nostro presidente del Consiglio deve assumere la leadership (Macron permettendo) o per noi sarà la fine: il patto di stabilità incombe come una maledizione peggiore del virus cinese.
Ci sta di dover assistere a una saga come quella di Angeli e Demoni con Boris Johnson al posto di Dan Brown. Nessuno per ora ne fa cenno, ma l’Europa, o meglio l’Ue, è vicinissima all’implosione. La trama è scritta e per noi è quasi una tragicommedia con concreto rischio di finire da italiani nel girone dei (con)dannati alla povertà e all’arretramento sociale. Si dà il caso che colei che move l’Europa con tutte le sue stelle stia per passare la mano: Angela Merkel a settembre sarà l’ex cancelliera della Germania e la sua leadership passa in archivio. Si dirà, ma la Germania resta pur sempre la locomotiva d’Europa, cosa volete che cambi? Stavolta non è l’era dei Gattopardi, stavolta cambia davvero tutto. Per tre fondamentali ragioni: la Germania non ha l’economia potente che tutti credono se è orfana del suo personalissimo giacimento e cioè l’Europa da cui estrae ricchezza a discapito degli altri, la Germania ha una produzione rigida, la Germania infine se ha approfittato – come ha candidamente ammesso l’ex ministro delle finanze il falco Wolfgang Schauble – dell’Euro per arricchirsi è consapevole che la moneta unica è troppo debole. Per il semplice fatto che non è una moneta; non è governata da una politica economica comune che guida una banca centrale che ha invece solo il compito di stampare gli Euro, non è espressione di una ricchezza condivisa.
L’Euro è e resta un’ unità di cambio tra paesi e non ha mai assunto (ormai sono oltre venti anni che è sulla scena) la funzione né di moneta rifugio né di moneta regolatrice degli scambi globali. Il commercio mondiale è ancora e lo sarà perennemente regolato in dollari. Ci sono tre dati che pochi hanno pubblicato nei giorni scorsi che raccontano come sta messa davvero la Germania: a gennaio i consumi sono andati malissimo (meno 4,5%) e su base annua il tonfo è dell’8,7 per cento, la disoccupazione a febbraio è rimasta ferma al 6% il che significa che non è in atto alcuna ripresa, e l’inflazione è schizzata in alto con una proiezione a fine anno del 3 per cento d’aumento. Ora questo è un dato molto preoccupante (ma si vede anche in Italia): consumi giù, inflazione su e significa che le imprese cercano marginalità sui prezzi avendo perso domanda, ma ciò fa avvitare il sistema economico in una spirale di assoluta recessione. Per la Germania che fa il 60% del suo export cannibalizzando le economie dei partners dentro i confini dell’Ue se le cose si mettono così è un incubo tant’è che nei giorni scorsi ci sono state massicce vendite sul Bund tedesco.
Questo quadro basta a dire che l’Euro scricchiola. Ma converrà fare successivamente un’analisi più approfondita su questo aspetto. Il dato politico è pero che la Germania anche in forza di questa inusitata fragilità economica e per l’ imminente uscita di scena di Angela Merkel rischia di perdere la leadership il che atomizza l’Ue e fa riemergere i sovranismi. E per l’Italia portata dal Pd a genuflettersi ai piedi di Bruxelles sono dolori. L’unica via d’uscita è che Mario Draghi riesca a prendere lui in mano le sorti dell’Europa e faccia, come già fece alla Bce con la moneta, l’azione necessaria a salvare l’Unione come progetto politico. Altrimenti l’Italia è perduta. Ma attenzione, non significa che senza l’Europa non c’è vita, significa che noi ci siamo talmente legati al collo la zavorra Europa ed Euro che ora siamo costretti a evitare che quel masso scivoli nell’acqua per evitare di annegare. Lo scenario è tra i più foschi. La dichiarazione di Austria e Danimarca di uscire dal programma europeo dei vaccini per trovare intese con Israele (per gli austriaci è tutto dire e chissà se Nethaniau si ricorda chi era nato in Austria…) è la palese dimostrazione che l’Europa si sta sfarinando.
Austriaci e danesi hanno compreso che con Ursula Von der Leyen non si va da nessuna parte: gli indicatori economici peraltro condannano l’Europa. Basta confrontare la traiettoria dell’economia tedesca con quella britannica (ecco Boris Johnson nella parte di Dan Brown) e statunitense per rendersi conto di come la gestione raffazzonata, burocratica e avara dei vaccini da parte dell’Ue ci condanna all’arretramento. E c’è chi dice no: Austria e Danimarca per prime, piccole economie che però sentono la necessità di ripigliare autonomia. Si ricorderà che Mario Draghi al recente summit europeo ha alzato la voce proprio su vaccini. E’ quella la spia che l’Europa è in crisi e il sistema non tiene. Ora ci sono due possibili strade: o Draghi trova un accordo coi tedeschi che lo lasciano fare nonostante l’Italia venga considerato (a ragione dopo la disgraziata stagione di Giuseppe Conte) il malato d’Europa, oppure Draghi trova un accordo con Macron (indebolito non poco in patria per i risultati economici disastrosi causa virus cinese) per spartirsi la leadership europee. E’ chiaro che i francesi vorranno via libera sulla conquista di alcuni assets della nostra economia (le banche? I trasporti? Le utilities?) e starà a Mario Draghi decidere quale prezzo pagare. Draghi rispetto a tutti i governati dei diversi paesi europei ha un solo importante vantaggio: per ora gode in patria di un’attesa messianica che lo mette al riparo da contraccolpi interni. Insomma è il più stabile. E gioca una partita esiziale. Se infatti non riesce a prendere la leadership in Europa si scateneranno gli spiriti animali.
E per noi sono dolori. La dimostrazione si è avuta al recente eurogruppo. Il presidente di turno, l’irlandese Pascal Donohoe ha messo sul piatto la cosiddetta “general escape clause”. In soldoni si tratta di ripristinare il patto di stabilità. Paolo Gentiloni – commissario all’Economia in quota Pd e a sovranità molto limitata – ha fatto capire lanciano anche messaggi in Italia che la faccenda è all’ordine del giorno e il Torquemada dei conti, il vicepresidente della commissione europea Vladis Dombroviskis ha detto chiaro che la questione va posta. I cosiddetti frugali vogliono che il patto di stabilità torni in vigore entro il 2022, per noi sarebbe la fine con indicatori economici vicino al disastro se dovessimo tornare sotto il 3% deficit pil e in traiettoria debito/pil di rientro nei parametri significherebbe una manovra da almeno 100 miliardi in un anno. E’ esattamente quello che da sempre i “calvinisti” del Nord Europa aspettano: creare le condizioni per espropriare la ricchezza privata degli italiani. C’è un dato che nessuno tiene presente: il debito complessivo dell’Italia è, dopo quello della Germania, il più basso perché al debito statale si somma quello privato che è il secondo più basso d’Europa. Gli italiani hanno in banca 1500 miliardi e uno stock di patrimonio di 8 mila miliardi. Gli olandesi per esempio hanno come debito privato il 220% del loro pil. Cosa vogliono fare? Vogliono per finanziare i nostri titoli di Stato mettere le mani per via fiscale sui soldi privati degli italiani. Ed ecco che scatta la tagliola del patto di stabilità. Faccenda che non è affatto accantonata. L’appuntamento è per fine aprile. Il nostro neoministro dell’Economia Daniele Franco ha provato a cambiare le carte in tavola chiedendo prima di discutere di patto di stabilità di avere i soldi del Recovery. Ma la risposta è stata come quella sui vaccini: siamo in ritardo dunque non si possono legare le due partite; il patto di stabilità va ripristinato, il Recovery seguirà. E’ un po’ come l’intendence di Napoleone a Waterloo: come è finita si sa. I tempi del Recovery peraltro sono noti: a fine marzo arrivano i piani, la Commissione ha due mesi per valutarli, poi c’è un altro mese per le integrazioni. Siamo già a fine giugno. Poi i parlamenti nazionali devono tutti e 27 approvare il Recovery (e per ora hanno votato solo in sei).
Infine la Commissione deve preparare gli strumenti per andare sul mercato a vendere i suoi titoli di debito con i quali finanziare il Recovery. Morale: se ne parla forse ad autunno inoltrato. Una situazione che, stando al direttore del Mes, l’olandese Klaus Regling, “preoccupa gli investitori”. Ma soprattutto preoccupa noi italiani visto che l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha scritto in legge di bilancio che ci saranno quest’anno 20 miliardi in arrivo dal Recovery. Se così non fosse avremmo di fronte una voragine da riempire di tasse. Ecco perché stiamo vivendo una stagione da Angela & Draghi. Se l’Europa si sfarina perché la Germania non riesce più a tenerla insieme per noi sono guai seri. Potrebbe anche accadere ciò che molti sanno, ma non osano dire: che sia la Germania ad abbandonare l’Euro. Fanta-economia? Può darsi, ma quando nei cieli d’Europa cominciano a scontrarsi Angela & Draghi lo scenario è da Medioevo!