ZINGARETTI SCALCIA… E INGUAIA MATTARELLA: ORA DEVE TIFARE LEGA

Nel centenario della fondazione del Pci implode il Pd perché orfano del potere e Mario Draghi, dopo la dissoluzione grillina, ha solo un punto di riferimento: il Centrodestra. Il Quirinale che non voleva Matteo Salvini deve affidarsi a lui se vuole evitare le elezioni.

Hanno fatto la fine dei polli di (Matteo) Renzi. A forza di beccarsi si sono spiumati tra loro e il povero Zinga ha deciso che di farsi massacrare si era rotto i cabbasisi, per dirla con una battuta cara al fratello Luca che interpreta “Montalbano sono”. Nicola Zingaretti ha staccato la spina con un certo vigore e livore: “Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”.

Peggio e più chiaro di così non si può. Solo che queste dimissioni arrivate alle “cinco de la tarde” hanno fatto gridare a molti porca Lorca (nel senso di Garcia) perché “alle cinque della sera la stanza s’iridava di agonia, le ferite bruciavan come soli e la folla rompeva le finestre. Ah, che terribili cinque della sera, eran le cinque in ombra della sera”.

Per uno di quegli sberleffi che la Storia si diverte a organizzare l’implosione, forse definitiva, del Pd avviene nell’anno centenario della fondazione del Pci. Ma doveva andare così. Quando Uolter Veltroni immaginò il suo partito di plastica con una fusione fredda tra la nostalgia del potere ex-democristiano e l’orgasmo da potere ex-comunista sapeva bene che l’unico collante possibile per tenerle insieme era il potere medesimo e infatti il Pd dalla sua nascita, nonostante abbia perso tutte le elezioni ha sempre gestito il potere esprimendo addirittura dal 2013 al 2018 tre presidenti del Consiglio.

E’ entrato in crisi quando lo hanno sfrattato da palazzo Chigi. Così Zingaretti – malissimo consigliato da Goffredo Bettini – ha cercato di cooptare Giuseppe Conte, poi con l’arrivo di Mario Draghi il collante non ha retto più. Il punto politico più rilevante è questo. E così alle cinque della sera ci sono due effetti uguali e contrari più una derivata. Matteo Renzi ha di certo tirato fuori nel suo villone fiorentino una boccia di quelle buone perché ha raggiunto l’obbiettivo: dimostrare che senza di lui il Pd non tiene, al Quirinale devono aver messo le stanze a lutto e di sicuro stasera Sergio Mattarella mangia di leggero perché rischia di andargli di traverso la cena. Per non dire del fido Ugo Zampetti che di certo non ha avuto sugo: aveva tessuto così bene la tela e oggi quel maldestro di Zingaretti l’ha lacerata.

Le dimissioni del segretario del Pd sono la più urticante eterogenesi dei fini per il Presidente della Repubblica che ha fatto di tutto per evitare le elezioni e di consegnare il governo al Centrodestra riparandosi dietro la scelta di Draghi come commissario liquidatore della politica.

Ma Mattarella ha avuto evidentemente un eccesso di fiducia nel senso politico del Pd che si è inventato l’europeismo come ultima bandiera dietro la quale schierare le sue truppe in realtà le une contro le altre armate per dichiararsi distinto e distante dalla Lega che pure è oggi un suo sodale di governo. Per la verità a scompaginare il disegno di Mattarella (e di Zampetti) di mandare in soffitta Conte, garantirsi l’appoggio del Pd spingendolo a federarsi con i grillini sino a inventare la categoria dei pidistellati per far argine alla destra ed esser confermato al Colle, prima del coup de theatre del vice-Montalbano ci ha pensato Giancarlo Giorgetti che riuscito a convincere Matteo Salvini a stare nella partita.

Quando Mattarella predicava unità dei partiti in realtà dichiarava una conventio ad excludendum. Siamo chiari: lui voleva la maggioranza Ursula. E invece s’è trovato con Ursula (Von der Leyen) che è si maggiorenne ma non vaccinata e ha tradito l’Europa e con la Lega che gli ha bussato alla porta. E a quel punto che poteva fare il nostro presidente della Repubblica se non buon viso a cattivo gioco? E cosa poteva fare il Pd se non farsi andare bene anche Salvini pur di tenersi le poltrone?

Erano tutti consapevoli che senza poltrone il Pd si sarebbe sfasciato. C’è qualcuno, e questa è la derivata delle dimissioni di Zinga, che puntava ad una poltrona molto alta: Dario Franceschini. Si è fatto andare bene la Lege e ha taciuto convinto di correre per il Quirinale, non ha sfasciato il partito in vista del Colle. Ma ora che è sicuro che non ce la farà a succedere a Mattarella chi glielo fa fare di stare in compagnia dei Giovani Turchi e degli ex-Pci?

Potrebbe essere proprio Franceschini a dare il primo strappo. Su questo conta Renzi che comunque già ha radunato i suoi che erano rimasti tatticamente nel Pd in attesa dell’implosione. Era scontato: perso il potere il Pd doveva andare per aria. E così è avvenuto. Hanno cominciato le donne, poi i capicorrente che hanno preteso un ministero a testa, poi gli ex renziani che hanno preteso un cambio di passo. Alla fine Zinga ha detto: “Mica Montalbano sono!”.
Ed è stato alle cinque della sera che si è consumata l’eterogenesi dei fini per Mattarella. Voleva tenere ad ogni costo fuori dal potere la Lega e oggi si trova con il suo governo, quello che lui ha voluto e affidato a Mario Draghi che ha un solo punto di riferimento: il Centrodestra. Con i grillini in preda a scissioni, convulsioni, ricatti, fatture da pagare a Casaleggio, con il Pd dove è tutti contro tutti gli unici ancoraggi parlamentari per il Governo sono la Lega e Forza Italia con Matteo Renzi che si gode il suo capolavoro aver distrutto il Pd e i grillini e aver portato Forza Italia alla sua contiguità.

Se Draghi vuole andare avanti e cercare di salvare l’Italia ha un solo alleato possibile e affidabile il Centrodestra. La dimostrazione l’ha data Giancarlo Giorgetti che da ministro dello sviluppo economico e garante della Lega si è messo a lavorare a testa bassa per produrre un vaccino italiano, per riparare ai guasti dell’Europa a cui ogni piè sospinto si richiama il Pd che voleva usare l’aggettivo europeista come barriera contro la Lega. Le dimissioni di Zingaretti e lo shock che provocano dentro il partito rischiano di marginalizzale il Pd nel governo e forse sulla scena politica. Ci sarà tempo e modo per analizzarne le conseguenze, certo è che da stasera se Mario Draghi vuole andare avanti ha un solo sostegno certo: il Centrodestra e se le cose stanno così la discontinuità rispetto all’ infausta stagione del triangolo Conte-Casalino-Zingaretti comincia da ora.

Anche perché o Mario Draghi ascolta il Centrodestra oppure si riapre la corsa verso le urne. Non va dimenticato che la diaspora dei grillini assegna a Lega e Forza Italia la maggioranza in Senato e che il terremoto nel Pd potrebbe portare alcuni a guardare immediatamente a Italia Viva col risultato che se il Centrodestra decidesse di staccare la spina a Draghi ci sarebbero solo le elezioni. E stando ai sondaggi si sa come andrebbe a finire. Toccherà dunque a Sergio Mattarella bere l’amaro calice di sentirsi rassicurato da Salvini, toccherà a Draghi il complicato ma felice comito di dare all’Italia un governo capace di far dimenticare Giuseppe Conte quello che Zingaretti aveva definito un ”punto fortissimo di riferimento per tutte le forze progressiste”. O no?

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