FALLIMENTO PD: VIRUS ZINGA STUDIATO IN LABORATORIO. CHI BRINDA ALLA FACCIA DEL FU ZAR NICOLA

Come in un matrimonio fallito quando disperati e silenti si cerca di rimettere a posto i cocci che non combaciano più fino alla ineluttabile deflagrazione, o in un “fratricidio”, come lancia la bomba lui, il fu zar Nicola dimissionario sua sponte. Fate voi, ma è andata così, la sostanza non cambia. E la sostanza è dinamite per il pd, il partito che si scopre di plastica in un sol colpo. Brucia in un attimo, e non d’amore o di passione ma di virus da poltrona: incendiario è il suo ex “padrone”, il fu Zar Nicola che non ci sta a morire di virus che gli hanno creato a tavolino i suoi compagni infedeli, accoltellatori virali. La bomba è pronta da tempo, il mite Zinga depresso, arcistufo di detonare, la sgancia all’insaputa di tutti, come si fa con le bombe vere, a sorpresa.

Va oltre. Udite udite si “vergogna” del suo partito. Lo accusa, lo sferza, lo condanna quel partito che è suo figlio fratello e moglie. Un atto d’amore dirà, lo ama e allora lascia perché non vuole che imploda. Poco convincente: in amore si raddoppia e quando si lascia non è amore. Dovrebbe casomai ri-amare e rifondare se non vuole perdere chi ama, alias il suo pd. Non un passo indietro, ma dieci in avanti avrebbe dovuto fare da segretario in carica. Invece si “vergogna” che si parli di poltrone mentre esplode la pandemia. “Mi attacca chi ha condiviso tutte le scelte. Non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione”.
Si sarà reso conto il fu segretario del pd che vergognandosi ne ha scritto l’epitaffio sulla tomba già allestita? E che dunque sempre vergognandosi per lui, e in remissione dei sui compagni, si è assunto tutte le responsabilità dichiarandosi corresponsabile del fallimento? E chi avrà mai più il coraggio di votare un partito tecnicamente fallito? Forse non ne è pienamente cosciente. Invece della mossa del cavallo fa la mossa del coniglio. Se il pd è un partito di meschini, di caccia poltrone in mano alle correnti, l’autombulanza per il pd la chiama lui, l’autocritica si trasforma in critica e a macchia di leopardo investe le correnti. Fallimento certificato in carta bollata dem, firmato Nicola Zingaretti. Perché la sua, quella del fu zar Nicola, autoliberatosi dalla trappola costruita in laboratorio, non è una scelta emotiva ma politica. Lo fa trapelare il soft Orlando che lo invita a restare. Ma attenzione compagni, non è suo intento tornare indietro e ieri ha ribadito le sue dimissioni irrevocabili. Nessuno sapeva niente alla vigilia del suo tormento, nemmeno il vice Orlando neo ministro del lavoro, né il ponderato alleato Franceschini. Figurarsi i suoi avversari interni. Nulla sapeva Lorenzo Guerini né il Matteo Orfini (l’altro, il più famoso, il Matteo rottamatore invece festeggia dietro le quinte). Solo il plenipotenziario amico Bettini era al corrente ( dicitur). Lui, Zinga, che ob torto collo ha appoggiato, pur non essendone stato mai convinto, il governo Conte e poi quello Draghi, operazioni fatte per tenere in piedi un partito già morente e dilaniato dai protagonismi senza prospettiva. “Volevano le primarie per tirarmi sette mesi sotto scacco e poi farmi fuori ma non mi faccio fare fuori”, ecco lo sfogo vero con i suoi. E d’altra parte in questi giorni nessuno lo ha difeso, “giorni terribili” in cui gli hanno “sparato addosso dallo stesso pd”, “pensavano alle liste, alle poltrone, ai post”, avrebbe detto ai suoi. E poi gli attacchi della stampa amica, che si sente vedova e se la prende con l’ex timoniere. Così Zinga ha lasciato ben sapendo di lasciare.
Pierluigi Bersani, che ne ha viste un bel po’ e che sulle metafore non lo batte nessuno, preconizza amaro: “Siamo solo in superficie”. Superficie sta per “problemi della sinistra“. “Uscire da questa fase con i vecchi attrezzi senza mettere in campo un percorso costituente e senza una nuova prospettiva significa non aver capito. Si finisce a rigirarsi nel problema diventando sempre più piccoli e stretti”, ha sintetizzato Bersani.

Maledizione del Nazareno a parte, che a frequentarlo non porta poi tanto bene visto i segretari azzoppati negli anni, alla faccia dello spirito democrat, il punto è adesso chi brinda (sempre democraticamente) alla faccia del fu segretario mentre i farisei lo blandiscono perché ritorni.
Se ora tornasse sarebbe un doppio flop, servito sul piatto argentato radical dem, fatale per l’avvenire di Zinga che passerebbe dal danno alla beffa, dalla tragedia alla farsa. Ma la farsa tragicomica fatale è del e nel pd, vittima dei suoi saccenti errori e dell’effetto domino innescato da Matteo Renzi, il quale dietro l’apparente guerra con Conte ha sempre perseguito l’obiettivo- perfettamente riuscito- di rompere il pd, partito che a sua volta miopemente ha usato Conte per rompere Renzi e alla fine si è frantumato da solo. Il virus delle correnti serpenti aggiunte è solo l’epilogo. Il Conte o morte, il Conte o voto non ha pagato. Conte si è fatto i suoi conti e vuole federare anche il pd insieme ai grillini in un gran minestrone di cui nemmeno lui ora ha piena contezza. Fallimentare la strategia di Franceschini, gran sostenitore dell’accordo Pd- M5s destinato secondo lui a diventare “un’alleanza permanente”. Un patto invece sciagurato diventato- era nelle premesse- abbraccio mortale per i democrat. Aggiungici la rivolta delle signore piddine che guai a pestargli le unghie, a cominciare dalla saccente stampa amica radical, e gli ex renziani rimasti nei due capigruppo di Camera e Senato (Delrio e Marcucci) che sanno già da tempo chi far accomodare sulla poltrona da segretario. Chi? Ma naturalmente il dinamico presidente della regione Emilia Romagna, lo sgomitante Stefano Bonaccini, talmente aperto e democrat che giorni fa ha sorpreso tutti. Non c’è niente di osceno a tenere aperti i ristoranti a cena, ha dichiarato, associandosi a Salvini e al coro di ristoratori che giustamente vogliono capire cosa devono fare e che sono sul lastrico per scelte precedenti totalmente sbagliate. Dulcis in fundo i riformisti, la corrente (una cinquantina di parlamentari) che fa capo a Guerini e Lotti pronta da tempo ad assaltare la diligenza stremata di Zinga e dei Zinga boys. Motivazione: c’è il rischio che l’agenda Draghi venga scippata al pd e fatta propria da altri partiti. Vero. Perché il pd invece di saper prendere al volo il treno Draghi ne è rimasto schiacciato, vittima degli errori pregressi e della mancanza di una progettualità.
Ha ragione Bersani. Sotto la superficie il cratere. Il 13 e 14 marzo all’assemblea dem sarà una resa dei conti, per questo Zingaretti ha anticipato i tempi. Il buon Bonaccini scalda i muscoli e si affanna a dire sul suo ex segretario: “Le dimissioni sono una scelta sbagliata”. Esattamente un anno fa, festa dell’Unità di Modena, Bonacciani dixit: “Io segretario del Pd? Non ora. Renzi se vuole torni”. A proposito… Qualcuno ha sentito il Rottamatore pronunciarsi sul tema?

0 Points