ORNELLA: IMMUNE, VACCINATA EPPURE A CASA IN QUARANTENA. SUL COVID C’E’ SOLO CAOS

La storia che ci ispira oggi è quella di Ornella, nome immaginario di una ragazza di 34 anni che lavora in una residenza protetta. Quelle che per tutto il periodo dell’epidemia hanno vissuto sotto la spada di Damocle dell’esplosione del focolaio.
Lei ha pagato pegno a dicembre, quando ha preso il Covid: poca febbre, tanta stanchezza e dolore di ossa, tre o quattro tamponi per poter dire di essere negativa e tornare al lavoro dopo venti giorni. Teoricamente immune: e nella stessa residenza, quando è arrivata la Asl a fare il vaccino a dipendenti e ospiti si è comunque messa in fila e, in quindici giorni, si è vaccinata due volte. Ma le varianti corrono in fretta… Ora due familiari di Ornella sono infettati e lei li cura. Al lavoro si sono chiesti cosa dovesse fare. Il medico di famiglia le ha detto di andare  tranquillamente, la Asl – invece –  ha risposto seccamente al datore di lavoro: quarantena di dieci giorni e poi tampone negativo per tornare al lavoro.

Ma come, se uno è immunizzato naturalmente e per di più vaccinato bis deve fare la stessa trafila del meschino che è stato vicino a un positivo?
La risposta delle  autorità sanitarie è stata: di queste varianti non sappiamo nulla, meglio essere prudenti.
Il principio di precauzione è quello che sta guidando tutti,  dal CTS al medico della mutua (che spesso non risponde neanche al telefono per precauzione), ma così non se ne esce più.
Inutili le placide attese fuori dagli hub vaccinali per farsi bucare l’avambraccio, si dovrà portare comunque la mascherina. Inutile attendere che passi la nottata per riaprire le attività, saremo vaccinati e chiusi in casa, facendo i conti con il solito “corona” che a pranzo non infetta e a cena sì.

E intanto si scopre che anche con la mascherina imposta siamo in pericolo. Milioni di quelle fatte arrivare dalla struttura commissariale sono marchiate FFP2#1282, FFP2#2037 e FFP2#2163. Una non filtra niente, un’altra potrebbe uccidere un cardiopatico perché non traspira. Certificate in modo fasullo o da enti accusati di frode. Alcune di queste sono distribuite dalle Asl e altre le usano nei reparti Covid.
Nel frattempo si tiene l’orecchio incollato alla tv come alla vecchia Radio Londra per sapere quando saremo rossi e quando arancione smaltato…
La confusione regna sovrana. Dall’inizio della pandemia si poteva immaginare che dopo un anno si sarebbero almeno messe le basi per distinguere i rischi, le cure, i protocolli e i vaccini. Però siamo ancora all’”ora zero”.
Il Tar ha bocciato il protocollo AIFA sospettato di aver provocato la maggioranza dei morti del 2020 con la previsione: “Tachipirina e vigile attesa”. I giudici hanno raccomandato ai medici di curare i malati “in scienza e coscienza” con gli antinfiammatori, il cortisone e le altre armi che si conoscono contro i virus… ma è possibile che le politiche essenziali si debbano sempre fare con le corti di giustizia?

Le autorità sembrano inermi, quelle mediche che non  hanno saputo organizzarsi per dare risposte ai pazienti, quelle politiche che – Regioni in testa – non  sono riuscite a immaginare un argine al contagio se non il lockdown.
Non è che le terapie intensive scoppiano… è che non ci sono posti in terapia intensiva neanche per i tempi normali, visto che dal governo Monti a quello di Gentiloni in  sette anni sono stati tagliati 30 miliardi di euro alla Sanità. E se ci fossero i letti e i macchinari non c’è chi li sa usare. Il medico e l’operatore dell’UTIC vanno formati, per questo delle 28mila assunzioni promesse dal governo di Conte, vero e unico responsabile di questo disastro, non se ne è vista una.
La Campagna vaccinale può dirsi ormai fallita, per tutta l’Europa, che si è vista prendere in giro anche  dalla Johnson e Johnson che prima ancora di vedersi approvare il vaccino dall’Ema e consegnare la prima fiala ha annunciato un taglio ai 55 milioni di dosi promesse per giugno. E poi è arrivato Biden, boss americano, che ha confermato il blocco delle vendite di vaccini alla Ue promettendo che in un futuro non meglio precisato ci darà l’eventuale surplus. A voi, a voi che ci avete messo tanto a sentirvi orgogliosi di essere europei…

Lo sforzo straordinario che si richiede al governo Draghi – oggi impegnato in una “cabina di regia” che dovrà dare risposte alla situazione – è quello di dissipare la confusione, far tacere tutti e dettare poche, decise norme di comportamento, prendendosi i suoi rischi. E’ quello che deve fare un’istituzione. Ad oggi, invece, un’Italia pezzente e muta aspetta “ristori” che non arriveranno e non indulge più neanche a un sorriso. E si impone già un cambio di passo. Qualcuno ha ricordato al premier che la “luna di miele” dura cento giorni e che un mese è ormai passato. In tempi di Covid di tempo ce n’è anche meno.

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