TRUMP, LA PASTA E IL BUON FRIEDMAN

Negli ultimi giorni gli Stati Uniti hanno deciso di imporre dazi altissimi sulla pasta italiana, superiori al 100%. L’accusa è di dumping da parte di due produttori italiani, aggravato dall’assenza di collaborazione. Ma poiché i dazi sono imposti a tutti gli esportatori di pasta italiana e non solo a quelli forse (molto forse) non collaborativi, non ha nulla a che vedere con la difesa da pratiche di concorrenza sleale. Difatti, la stessa pasta negli Usa costa di più di quanto non costi in Italia e la pasta importata costa di più della pasta prodotta negli Usa. Non siamo dunque davanti a dazi “compensativi” (di una eventuale concorrenza sleale) ma davanti a dazi chiaramente “punitivi” (che parrebbero nascere, duole dirlo, dall’esposto di aziende italiane che producono negli Usa) a protezione della produzione interna.

Un secondo elemento rende la questione di straordinaria importanza: il tracollo dell’export italiano verso gli Stati Uniti diminuito del 21,2 % rispetto lo stesso mese dell’anno precedente. Ovviamente un dato puntuale non fa una tendenza, ma tant’è. Vedremo nei prossimi mesi e solo su base annua si potrà fare un bilancio. 

Adesso, occorre trovare una strategia, ma il quadro è complesso: la competenza esclusiva in materia di commercio internazionale è della Commissione Europea e mentre molti prodotti come automotive ed acciaio sono di interesse europeo, altri – come la pasta – sono praticamente solo “italiani”. Bisogna sensibilizzare Bruxelles, ma la pochezza del Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, non lascia ben presagire.

Le alternative di condotta a livello Paese sono due (le aziende colpite hanno già preannunciato dal canto loro azioni legali negli Usa): andare allo scontro, oppure negoziare pazientemente. Ma, come spiegava il grande economista Milton Friedman, (un autentico liberista) rispondere ai dazi con nuovi dazi è come sparare sul fondo della barca sulla quale stiamo navigando solo perché un altro passeggero lo ha già fatto. Quindi non ci sono altre strade se non trattare con pazienza e nel frattempo esplorare nuovi mercati per ridurre l’incidenza dell’export Usa, anche se sostituire il mercato statunitense richiederà anni.

* Economista