STOP AGLI IMPIANTI DI RISALITA ANCHE QUELLI CHE VANNO AL COLLE

La manovra di Roberto Speranza dettata da ragioni di schieramento e suggerita dall’alto? Certo che è uno schiaffo in faccia alla Lega

Torna sempre il refrain del divo Giulio (Andreotti) che a pensar male si fa peccato ma ci si piglia. Viene in mente che le seggiovie portano certo in vetta ai monti, ma spesso raggiungono anche i colli. E forse uno in particolare. Perché potrebbe eserci una verità nascosta dietro lo stop improvviso e improvvido agli impianti di risalita che forse varrebbe la pena di indagare. Andiamo per ordine. Il 3 febbraio il Cts (Comitato tecnico scientifico passato indenne dal bisConte a Draghi) dice: potete tornare a sciare il 15 febbraio. E detta le regole rigidissime di accesso agli impianti per quelli che si trovano of course in zona gialla. Sono bei soldini da spendere per gestori d’impianti a fune, ristoratori, albergatori e maestri di sci, ma per chi aspetta di ripartire da quasi un anno è uno sforzo inderogabile. Il fatto è che undici giorni fa non c’era il governo Draghi, tanto meno c’era la prospettiva che la Lega entrasse nella maggioranza, anzi meglio nel Governo con due ministri.

Il 4 febbraio Draghi aveva appena iniziato le consultazioni. Si sa che Sergio Mattarella ha sbarrato la strada di un ministero a Salvini (che invece aveva detto: ci sto se dentro il governo ci stanno tutti i segretari di partito) e quando ha capito che la Lega avrebbe fatto parte del gabinetto ha imposto con i buoni uffici del suo segretario “molto particolareggiato” Ugo Zampetti, due ministri che sapeva sarebbero andati di traverso a Salvini: Luciana Lamorgerse all’Interno e Roberto Speranza per l’appunto alla Salute. Per come stanno andando le cose adesso la domanda più lecita da farsi è: siamo sicuri che non si siano riaperti gli impianti per chiudere alla Lega? Proseguiamo nella ricostruzione. Dopo che la Lega aderisce, il Cts comincia a far sapere che forse la variante inglese del Covid (notare la gentilezza: la variante è britannica, ma che il virus è cinese pare brutto dirlo) è troppo diffusa e dunque bisogna dare una strizzatina. Ieri mattina Walter Ricciardi tuona che ci vuole un altro lockdown e Roberto Speranza sentito il Cts impone alla montagna: resta tutto chiuso, fino al 5 marzo: poi si vedrà. L’impatto economico di questa decisione è devastante, ma ciò che più fa inquietare ora è il nodo politico. Ci sono volute 20 ore perché dalla presidenza del Consiglio filtrasse una nota in cui si dice che Mario Draghi era a conoscenza della decisione del ministro della Salute. E quella nota è apparsa solo dopo che Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna e della conferenza delle Regioni e indicato da quasi tutti come il prossimo segretario nazionale del Pd, ha detto a reti unificate: “Delusione è una parola fin troppo gentile. C’è molta rabbia, non nel merito in sé, non siamo scienziati e al primo posto viene la salute. Ma spero che quanto accaduto sia l’ultima volta. Non si può arrivare a decisioni del genere con così poco preavviso. Mai più decisioni del genere con queste tempistiche, non è più tollerabile. Serve un nuovo metodo”. Più o meno le parole dei ministri leghisti Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia che appena salito al Turismo si ritrova con una “bomba” di queste dimensioni.

Ma nessuno si era mosso per queste proteste di due componenti del Governo, né palazzo Chigi aveva sentito il bisogno di spiegare perché questa decisione non è stata assunta collegialmente, né nessuno si era mosso neppure di fronte alle proteste del presidente del Piemonte Alberto Cirio che ha fatto sapere che si costituirà parte civile insieme agli operatori della montagna nella causa di risarcimento danni che sarà promossa contro il Governo. A stanare i portavoce di Draghi è stato solo Bonaccini. Chi ha guidato la mano di Roberto Speranza nel firmare l’ordinanza che blocca la stagione sciistica deve aver pensato a quel punto di averla fatta tropo grossa: se pure uno del Pd andava su tutte le furie, se pure la conferenza delle Regioni minacciava una rivolta contro il Governo e arrivava a sfiduciare implicitamente il Cts e il ministro della Salute bisognava corre ai ripari. E soprattutto mantenere il massimo riserbo sull’eventuale catena di comando che potrebbe aver incoraggiato Speranza ad agire. Ed ecco che hanno allestito il parafulmine Mario Draghi. A dire il vero ce n’è già abbastanza per accendere una lite dentro il Governo se giustamente la Lega pretenderà, ma è probabile lo faccia anche Forza Italia visto che sono in ballo gli interessi imprenditoriali soprattutto del Nord, spiegazioni di una decisione improvvisa e non collegiale. Ma l’impressione è che il ministro della Salute non si sia ancora accorto che il bisConte è tramontato tant’è che il suo comportamento sembra in strettissima continuità con quanto ha fatto in un anno di pandemia: non tenere in nessun conto né la dignità del lavoro autonomo e dell’impresa, né la necessità dell’economia. Certo Roberto Speranza non è uno sprovveduto e viene da chiedersi se non abbia ricevuto coperture alte. Perché l’atto ha una sua “gravità” politica. Già Matteo Salvini ha visto come il fumo agli occhi la riconferma del ministro della Salute voluto da Sergio Mattarella, ora si ritrova con due dei suoi ministri in difficoltà per la mossa di Speranza che è quanto di più urticante possibile pe la Lega. Viene da chiedersi: se ancor prima della fiducia a Draghi si cerca di far ingoiare a Salvini rospi così grossi come sarà il cammino del Governo nei prossimi mesi.

Forse è una maliziosa interpretazione, ma sembra un’esplicita volontà di far stare molto scomoda la Lega a bordo del Governo con la speranza (ma anche con la maiuscola) che Salvini scenda alla prossima fermata. E c’è un altro aspetto non secondario: dimostrare con questi atti d’imperio che questo non è un gabinetto politico e dunque non collegiale, è il governo del Presidente. Ora si tratta di stabilire quale Presidente, e si tratta di capire se il blocco degli impianti di risalita non serva anche a mitigare l’ascesa al Colle.

0 Points