PRESTITI CON GARANZIA COVID: LO STATO IMPEGNAVA 150 MLD, LE IMPRESE NE HANNO PRESI SOLO 39 MLD
Tra febbraio e dicembre 2020, segnala l´Ufficio studi della Cgia, lo stock complessivo dei prestiti erogati alle imprese italiane per fronteggiare la crisi economica è aumentato di 39 miliardi di euro, anche se il volume dei prestiti garantiti messo in campo dal governo Conte bis è stato di oltre 150 miliardi.
Queste operazioni hanno consentito di invertire il trend che durava dalla fine del 2011 quando il volume dei prestiti bancari alle imprese è crollato di 300 miliardi di euro. Ma quello che il governo Conte-bis aveva “venduto” come un “bazooka” non è riuscito – dice Cgia – “ad aggredire con successo la cronica mancanza di liquidità che storicamente assilla in particolar modo le Pmi”.
L’ufficio studi si chiede: “come mai, infatti, solo un quarto delle garanzie messe a disposizione dallo Stato attraverso Sace e il Fondo di garanzia, che per legge dovevano coprire la quasi totalità degli impieghi erogati con questi strumenti, è finito nelle casse degli imprenditori? Perché una parte delle nuove garanzie è andata a colmare i cali fisiologici del credito in essere e nella sostituzione dei prestiti a breve con aumenti di quelli a medio-lungo termine. Oltre a ciò è possibile che il sistema bancario abbia usato una parte di questi miliardi anche per abbattere i propri rischi, sostituendo le garanzie legate ai prestiti che aveva erogato prima dell´avvento di queste novità legislative. Un modo di agire che sicuramente ha favorito gli istituti di credito, che così facendo hanno azzerato i rischi di incorrere in crediti deteriorati, e in parte anche le imprese, almeno quelle che prima del mese di marzo dell´anno scorso avevano delle linee di credito aperte con gli istituti”.
Nel rapporto tra correntista e banca, ricordano dall´Ufficio studi della Cgia, dall´inizio di quest´anno c´è un´altra grossa novità che rischia di penalizzare in particolar modo il primo. Gli istituti di credito, infatti, hanno l´obbligo di applicare le nuove regole europee sulla definizione di default. Vale a dire che le banche, ad esempio, definiscono inadempiente un piccolo imprenditore che presenta un mancato rientro da oltre 90 giorni, il cui importo risulta superiore sia ai 100 euro che all´1 per cento del totale delle esposizioni verso il gruppo bancario. Nel caso superi entrambe le soglie, può scattare la segnalazione presso la Centrale rischi della Banca d´Italia che, automaticamente, classifica l´imprenditore come cattivo pagatore, impedendogli così di poter disporre per un determinato periodo di tempo dell´aiuto di qualsiasi istituto di credito. Una situazione che rischia di interessare tantissime partite Iva che tradizionalmente sono a corto di liquidità e con grosse difficoltà, soprattutto in questo momento, a rispettare i piani di rientro dei propri debiti bancari.
“Questa nuova definizione di default quasi sicuramente indurrà le banche a tenere dei comportamenti molto prudenziali. Con l´abbassamento della soglia di sconfinamento, infatti, avremo senz’altro un´impennata dei crediti deteriorati. Per evitare che succeda ciò, Bruxelles ha imposto alle banche la svalutazione in 3 anni dei crediti a rischio non garantiti e in 7-9 anni per quelli con garanzia reali. Pertanto, l´applicazione di queste misure indurrà moltissimi istituti di credito ad adottare un comportamento di estrema cautela nell´erogare i prestiti, per evitare di dover sostenere delle perdite in pochi anni. Insomma, per tantissime Pmi si prevede una nuova stretta creditizia”.