IL GIOCO DELL’OCA A MILANO PER PALAZZO MARINO, FARINET NON ATTERRA NEL CENTRODESTRA. CI PENSA IL CAVALIERE?
Lui sui giornaloni esternava, il Cavaliere meditava. Così, in uno di quei giorni in cui Milano e la politica tutta, ansimante, attendeva la cronaca di una notizia annunciata, l’uomo che non aveva mai fatto politica e il cui nome il centrodestra aveva strombazzato si ritirò. L’adieu ( tanto per rimanere radical francesisti ) del candidato in pectore Di Montigny che esternava un giorno sì e l’altro pure è già negli archivi mentre il centrodestra alla ricerca di visione si butta su improbabili nomi pur di non candidare esponenti politici tra tandem, tridenti e fendenti. Soprattutto i fendenti. Passi Roma, dove la scelta “spettava” a Giorgia Meloni che oggi gongola nei sondaggi per il fantomatico sorpasso, ma Milano, Milano no. Milano, appannaggio della Lega, dove l’indicazione starebbe a Matteo Salvini, è in totale impasse. La vicenda del Di Montigny fa scuola: tutto pronto per l’investitura fin quando non parlò lui, il Cavaliere: “Sapete perché a Milano non abbiamo ancora un candidato? Perché dopo Damilano a Torino ci sembra giusto trovare uno che si chiami Datorino a Milano. Ma ancora non l’abbiamo trovato e continuiamo a cercare”.
Una battuta e Di Montigny batte in ritirata. Il genero di Doris, come narra la leggenda, fortissimamente voluto da Matteo Salvini, come sfidante di Beppe Sala alla poltrona di sindaco di Milano, avrebbe coltivato seri dubbi sull’opportunità di mettersi in gioco a causa delle possibili ripercussioni sugli affari di Mediolanum. “Mio suocero Ennio mi dice sempre di tenere distinta la politica dagli affari”, raccontava. Da giorni risuona il nome di Andrea Farinet, professore (come si legge dal suo profilo) universitario di economia di impresa con una esperienza di ricerca e docenza all’Universita’ Bocconi dal 1983 al 2007 su temi quali la Corporate governance, le strategie di business con particolare riferimento al mercato.
E nella sua pagina facebook spicca la foto di lui che si butta da un aereo per un volo col paracadute. Atterrerrà? Lui potrebbe, fa intendere, ma il caso dell’esperienza Di Montigny brucia e il professore non si vuole scottare, meglio sorvolare. Per ora i politici si allenano in battute tra risatine varie. Il primo è Gabriele Albertini: “Ancora un po’ e servirà fare un sorteggio”. E già, perché non c’è l’ok generale. Ma chi è il generale? Lo dice Tajani: “Siamo ancora al lavoro”. Salvini cerca l’unanimità con gli altri leader, ma né Giorgia Meloni, né Noi per l’Italia per ora confermano. La gerarchia dei veti è fitta. Farinet dovrebbe passare ai raggi x di Giorgia Meloni, mentre Salvini è alla ricerca del mister x. I dubbi- formalmente- si concentrerebbero sulla poca notorietà del nome per sostenere il quale ci sarebbe l’idea di affiancargli un volto noto, o addirittura di un tridente.
Sbuffano i leghisti di rango: “Ma come, l’imprimatur non era di Salvini? E poi se a Giorgia non andasse bene passerebbe lei per la regista del boicottaggio”.
Ma torniamo al Cavaliere. Mentre Matteo Salvini poco fa ha detto che “a Milano serve un collettivo forte come la nazionale di questi europei, perché Milano è una città che correva e si è fermata per litigi all’interno della maggioranza di centrosinistra”, Silvio Berlusconi domenica scorsa ha promesso per la sua Milano effetti speciali. Stamane nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera descrive il partito unico che verrà e a precisa domanda se nella città di Sant’Ambrogio correrà un civico o un politico, il Cavaliere azzurro smorza: “Lo dico da elettore Milanese, questo è un falso problema. Quello che conta è che il futuro sindaco sia competente, preparato, onesto. Che sappia ridare a Milano la spinta innovativa e propulsiva che la città ha conosciuto con le giunte di centrodestra con Albertini e Moratti culminata con l’Expo”. Qualcuno dice che Maurizio Lupi sia sempre pronto.
Ma poco importa a questo punto. Il Cavaliere ha la sua visione e guarda all’orizzonte del partito unico. Ha già il nome Cdu, centro destra unito. Un partito che diverrà realtà prima della fine dell’anno? No, risponde Silvio, “come orizzonte temporale ho indicato le elezioni del 2023”, per un partito che non sarà- assicura- una fusione a freddo ma ben altro. Matteo Salvini risponde dalla colonne della Stampa calcando sul non è in agenda, piuttosto una carta dei valori, quella sì. A buon intenditor poche, pochissime parole. Ma in politica mai dire mai, specie quando c’è di mezzo il Cavaliere.