L’ULTIMA CRAVATTA PER L’ULTIMO DEI BELLI: ASCESA E DISCESA DEL “NODO” CHE FA LA DIFFERENZA
No, una cravatta bene annodata non è più il primo passo serio nella vita. Oscar Wilde può disperarsi comodamente: dal 2013 in poi le vendite dell’accessorio maschile più discusso hanno mantenuto una costante decrescita nelle vendite; e, naturalmente, il 2020 che ci ha costretti a restare in casa con outfit ovviamente meno formali rispetto a quelli richiesti dall’ambiente lavorativo, ha rappresentato l’anno nero per l’erede della sciarpa che portavano i mercenari croati, a sua volta discendente del fazzoletto che i legionari romani legavano al collo.
I dati presentati lo scorso giugno a Pitti Immagine con una nota a cura del Centro Studi di Confindustria Moda per il Sistema Moda Italia, sono impietosi: nel 2020 il sell-out delle cravatte assomma al -50%, tanto che oggi quest’accessorio pesa solo per l’1,2% del mercato maschile. Attenzione: questo succede in Italia; ma quando guardiamo all’export della nostra moda, diciamo che il dato migliora (se di miglioramento si può parlare): -29,4%.
Poca roba, insomma: si dirà che, appunto, restando sempre chiusi in casa durante il lockdown nessuno o quasi abbia avuto il desiderio di comprare la cravatta e abbinarla. Però va anche detto che quest’accessorio, un tempo simbolo dell’Occidente (nella Persia divenuta l’Iran dell’ayatollah Ruollah Khomeini, nel 1979, le cravatte vennero immediatamente proibite perché simbolo del Grande Satana americano) e soprattutto del capitalismo, da ormai un decennio è oggetto di una continua demonizzazione. Sarebbe infatti inutile (in realtà serve a coprire i bottoni della camicia ed a spezzare la formalità dell’abito, anche se è possibile indossarne una di maglia più sbarazzina e informale), sessista e patriarcale (ma esistono le cravatte femminili, più strette e corte, che negli anni ‘20 dello scorso secolo furoreggiarono al ritmo del charleston), e sostanzialmente scomodo: il nodo al collo tiene caldo d’inverno ma d’estate fa sudare non poco. E può incastrarsi, ad esempio, in un tritadocumenti da ufficio.
Ecco allora che prima sono stati introdotti i casual fridays, i venerdì in cui ci si può vestire senza formalità, per poi abolire più o meno esplicitamente l’uso della cravatta nelle grandi aziende. Sarà: certo è che il mese scorso Forbes, nell’indicare i 100 top manager italiani, ha messo in elenco Maurizio Marinella da Napoli, re indiscusso delle cravatte. Uno che ha ricevuto la visita di Federica Pellegrini di ritorno da Tokyo: per lei una felpa di cachemire e una cravatta per papà; una borsa per il futuro sposo e allenatore Matteo Giunta.
Per noi, malgrado tutto, vale quello che ha scritto Roberto Gervaso nel 1983: “Ci dispiace morire anche perché ci dispiace lasciare tanti bei mobili e tante belle cravatte”. Una bella fregatura.