LA GUERRA “SPACCA” LE BANCHE E I CREDITI

La guerra scatenata dall’inaccettabile aggressione della Russia alla Ucraina ha radicalmente cambiato il panorama nel settore bancario in Italia. Prima della guerra, all’uscita della pandemia, pur in presenza di alcuni gap di lungo periodo, il sistema bancario italiano aveva imboccato un trend di deciso miglioramento, bruscamente interrotto nelle scorse settimane. I miglioramenti erano stati certificati nel rapporto Ocse Italy 2021. Lo spiega il professor Marcello Gualtieri, economista dell’Università, sulle colonne di Italia Oggi.

In particolar modo: 1) l’indice Tier 1, ancorché leggermente al di sotto della media Ocse, risultava ampiamente migliorato rispetto il 2007; ii) il processo di razionalizzazione degli sportelli bancari proseguiva secondo i programmi; iii) anche grazie a specifici provvedimenti legislativi, il peso dei crediti deteriorati in rapporto al totale dei crediti erogati risultava in netto miglioramento rispetto il picco del 2015.

Occorreva ancora avvicinare il sistema bancario ai livelli europei in tema di riduzione dei costi, rendimento del capitale investito e proseguire nella riduzione dello stock di NPL. Infine, benché il processo di aggregazione delle Banche più piccole era ben avviato, si auspicava un più facile accesso agli investimenti esteri per rafforzare le banche di minori dimensioni.

In poche settimane il panorama è completamente cambiato. Le due più importanti banche italiane hanno dovuto accantonare importi rilevanti per le perdite sugli asset detenuti in Russia, il cui valore è inesorabilmente destinato ad azzerarsi. In un solo trimestre Unicredit ha accantonato 1,2 miliardi e Intesa Sanpaolo 800 milioni; una enorme distruzione di valore con conseguente peggioramento degli indici patrimoniali, anche se gli importi – benché enormi – non sono tali da mettere a repentaglio i programmi delle due banche, grazie alla loro solidità e alle loro dimensioni (e accendiamo un ricordo a chi vedeva un pericolo nel processo di concentrazione bancaria).

Inoltre, il venir meno dei supporti statali pandemici (come anche segnalato dalla Commissione Ue nelle sue raccomandazioni), congiuntamente alla ripresa inflazionistica con conseguente distruzione della domanda, potrebbero adesso creare un nuovo aumento nei crediti di difficile esigibilità.

* Economista Università di Torino

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