REDDITO DI CITTADINANZA CRACK ANNUNCIATO: UN VIETNAM DI DATI E NUMERI
L’Istat ha diffuso le stime del numero dei posti vacanti nel primo trimestre del 2022. I dati presentati mettono una parola definitiva sul fallimento totale del Reddito di Cittadinanza (Rdc) come “politica attiva del lavoro” (cosa che pacificamente non è mai stato, nonostante i proclami). Innanzitutto la definizione: i posti vacanti sono molto semplicemente «i posti di lavoro retribuiti (nuovi o già esistenti, liberi o in procinto di liberarsi) per i quali il datore di lavoro cerca attivamente al di fuori dell’impresa un candidato adatto ed è disposto a fare sforzi supplementari per trovarlo».
ll 31 marzo 2022 il tasso dei posti vacanti era pari all’1,9% del totale degli occupati, quasi il massimo storico da quando sono iniziate le rivelazioni di questa grandezza (nel 2010) e pur in presenza di un tasso di disoccupazione pari all’8,3%.
Con riferimento al Rdc si osserva che rispetto al momento in cui è stato introdotto (inizio 2019) il tasso non solo è aumentato, ma l’aumento è avvenuto con la massima velocità passando in 2 anni da 1,4 a 1,9%. Tradotto in numeri, significa che oggi ci sono circa 115 mila posti vacanti in più rispetto a quando non c’era il Rdc. Il punto.Come abbiamo scritto più volte su queste colonne, è chiaro che se non c’è domanda di lavoro da parte delle imprese i posti di lavoro non possono essere creati con una legge. Ma i numeri dicono che invece la domanda di lavoro c’è, ma che il mercato è talmente inefficiente da non riuscire a mettere in contatto la domanda di lavoro con l’offerta e che l’inefficienza oggi è maggiore di quando non c’era il Rdc.
Come non si può certamente addebitare al Rdc il permanere di un elevato tasso di disoccupazione, si può, anzi, si deve addebitare al fallimento del Rdc come politica attiva del lavoro il fatto di non essere riuscito a far diminuire il numero dei posti vacanti, anzi, paradossalmente di averlo visto aumentare del 37% (circa 115 mila unità).
A fronte di una spesa di circa 28 miliardi in tre anni, che non ha lasciato nessun positivo effetto permanente nell’economia e nel mercato del lavoro, i dati dell’Istat rendono ineludibile la chiusura di questa fallimentare manovra a carico dei contribuenti italiani.
* Economista Università di Torino