“Nell’aprire i lavori di questo Convegno non posso non sottolineare la gravità del ritardo dello sviluppo del nostro Mezzogiorno”. Non la prende tanto alla larga il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che va dritto al sodo: come documentato da un approfondito studio di un gruppo di ricercatori della Banca d’Italia (“Il divario Nord-Sud: sviluppo economico e intervento pubblico”) il ritardo e la debolezza del Sud penalizza la qualità della vita degli italiani che lì vivono e frena lo sviluppo dell’intero Paese.
Il punto. Rispetto il precedente studio della Banca d’Italia sull’economia meridionale del 2010, i dati evidenziano che i divari si sono allargati. Il Sud ha visto progressivamente diminuire il suo peso economico, ridurre l’accumulazione di capitale mentre il divario nel Pil per abitante si è ampliato. Le imprese sono in media meno produttive, meno capitalizzate, meno profittevoli di quelle del Centro Nord; è più difficile accedere al credito e ad altre forme di finanziamento, anche a causa di un sistema giudiziario ancora meno efficiente.
Nel complesso i livelli di impiego e la qualità media dell’occupazione, già tra i più bassi d’Europa, sono ulteriormente diminuiti; nel settore privato rimane alta la presenza del lavoro irregolare ed instabile. Per quanto riguarda le infrastrutture, il Sud sconta la minore capacità progettuale e realizzativa della PA incapace finanche di utilizzare i fondi disponibili, a partire da quelli europei.
Cosa fare per provare ad invertire la tendenza? Secondo Banca d’Italia: 1) ridurre i divari che dipendono direttamente dall’azione pubblica, orientando la PA al conseguimento dei risultati, con monitoraggio costante degli standard di qualità raggiunti; 2) rafforzare la struttura produttiva del Mezzogiorno adesso che sono disponibili risorse (PNRR) senza precedenti per gli investimenti, ma sarà cruciale una forte discontinuità con il passato adottando modalità di intervento orientate ai risultati. Ma sia ben chiaro: nulla sarà possibile senza il contributo di cittadini, imprenditori e classi dirigenti: con i loro comportamenti saranno solo loro a decidere il successo o il fallimento delle politiche pubbliche.
* Economista Università di Torino