L’OMBELICO DEI BISOGNI E DEI SOGNI, UN ANNO SENZA RAFFAELLA CARRÀ

L’ombelico dei sogni. Come un imbuto sui desideri degli italiani, Raffaella distillava avanguardia. In un’Italia, addormentata sul ‘68 e sull’empietà dello stragismo latente, la Signora di Bellaria con la “essse” sibilante, asciugata dal centro sperimentale e dalla pur breve carriera nella recitazione a partire da Monicelli – con cui girò I Compagni, film intenso, insieme a Mastroianni-, macinava con il suo ombelico nudo una profonda rivoluzione Femminile. Senza dover essere femminista radical.
Il suo essere Femmina, bastava di già. Con una transumanza di gesti dirompenti, eppure gentili, riusciva a far digerire a un Paese ingessato da democristianismo e comunismo l’idea che le metamorfosi sociali fossero possibili. Lei era oltre le parti e i partiti.

La Carrà aveva il consenso di un partito. Senza avere l’insolenza e l’arroganza di doverne rappresentare uno.
Aveva instillato, nel comune sentire, come le Donne potessero riappropriarsi di centimetri di dignità, senza dover scavallare nella retorica femminile dell’epoca, stritolata da un certo femminismo a la page e un tanto al chilo.  E che gli uomini cominciassero a ragionare sul costume di una società che li relegava a dover essere maschi, solo, però, se avessero un istinto virale, in molti casi, più che virile. Lei che si era affrancata dal maschilismo paterno. Trovando nella sua Matria e nel suo essere Fitria non dolente, quel femminile che le donava autonomia e coraggio. Insomma, mai banale. A dispetto delle suffragette contemporanee del politically correct a tutti i costi, in un vittimismo perso e disperso.

C’era dell’Arte nel suo Casco Biondo, qualcosa che andava da Raffaello- con le sue donne e madonne rivoluzionarie- a Carlo Carrà pittore luminoso della metafisica, con il quale non c’era soltanto assonanza onomastica, ma una vera e propria avanguardia.
Raffaella e Mina. Quel “Milleluci” che era la luce del varietà, due Donne che conducevano il sabato sera della televisione italiana, senza dover essere le stampelle di un conduttore.  Li c’era il Talento. Che è sacrificio, passione, follia e generosità. Quel luogo dell’Essenza che non si appoggia sull’ombelico della mercanzia, né sull’ego di dover essere condottiere televisive, anche senza un’oncia di qualità. Raffaella costruiva i suoi programmi come autrice. Sapendo quanto fossero potenti e impattanti sulla società il video e la sua comunicazione e, sulla fondamentale consapevolezza di esserci solo se si avesse qualcosa da dire o da fare.
Penso a Lei, come una Lady Gaga ante litteram. Quel suo linguaggio del corpo e del costume, come un solco tra rivoluzione e conformismo.

Lei era la Grande Bellezza. Non quella confusa e diffusa mediocrità che accende ogni giorno lo schermo. E forse, senza quel suo: A far l’amore comincia tu, il film di Sorrentino avrebbe avuto un’eco diversa. Un po’ meno Oscar.
E come Fatalità, spegni il Rumore e accendi i sogni.

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