DEBITO PUBBLICO ULTIMA CHIAMATA, PIL AL PALO

Sul debito pubblico “è suonata la sveglia” ha dichiarato il Ministro Giancarlo Giorgetti: è il tallone di Achille dell’economia del Paese e gli interessi passivi sottraggono risorse ad imprese e famiglie. Finalmente un grido di allarme, molto tardivo, ma meglio tardi che mai.

Il problema dell’eccesso di debito ha origini lontane, ma è in particolare negli ultimi anni che lo Stato si è avvicinato al punto di non ritorno, con ineffabile indifferenza. Per la sintesi cui costringe un articolo di giornale, si può dire che dal 2015 a giugno 2022 la Bce ha adottato una politica monetaria ultra-accomodante ed ha consentito allo Stato italiano di finanziarsi a tassi di interesse particolarmente bassi (fino allo 0,1%). In questi anni abbiamo assistito ad un paradosso tutto italiano: si è lasciato crescere il debito pubblico perché tanto la spesa totale per interessi diminuiva. Inascoltato chi segnalava che con debito così alto un rialzo anche minimo dei tassi avrebbe avuto un effetto amplificato sui conti dello Stato. Adesso i tassi sono passati dallo 0,1% a oltre il 4% ed il rialzo (enorme) trova lo Stato con il debito al suo massimo storico, in più senza nessuna previsione di riduzione dei tassi: inflazione prevista “troppo alta e per troppo lungo tempo” (C. Lagarde).

Il quadro aggiornato è dunque il seguente: crescita del Pil terzo trimestre, zero; previsioni del Governo per il 2024 crescita 1,2%, (il doppio di quanto stimato da tutti gli altri); incassi da privatizzazioni preventivati per 20 miliardi (mai realizzati in passato); spesa per interessi prevista (credo molto ottimisticamente) al 3,4% del Pil, dunque il triplo della crescita.

Conti troppo fragili, un equilibrio estremamente precario. Il Ministro Giorgetti ha la capacità per guidare la nave nella tempesta che si profila, ma deve dimostrare di averne anche la personalità (e questa finora è mancata). Deve imporre al Governo, anche a costo delle dimissioni, un cambio radicale di approccio al problema del debito, che non può essere più considerato la conseguenza delle altre scelte politiche, ma deve diventare l’obiettivo principale della legislatura: riduzione sia in valore assoluto, sia in percentuale sul pil.

* Economista

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