“Alla fine, tirata una riga tutto è tornato come prima”. Così qualcuno ha commentato il recupero dei valori borsistici e gli accordi sui dazi degli Usa con Uk e Cina. Devo dissentire profondamente da questa interpretazione semplicistica che è errata sia nei numeri, sia nelle implicazioni macroeconomiche.
Da un punto di vista quantitativo, il fatto che le borse abbiano recuperato le perdite post “liberation day” non vuol dire che quelle perdite non ci siano state; sono state perdite reali e non virtuali: qualcuno ha perso cifre importanti e qualcun altro ha guadagnato spropositatamente, non si sa fino a che punto lecitamente. Mi auguro, ma non ci credo, che si faccia un’indagine rigorosa sui, pressoché certi, casi clamorosi di insider trading.
Per quanto riguarda i dazi, solo chi non conosce i numeri può pensare che non sia successo niente. Difatti, come pubblicato dal Financial Times il livello dei dazi, anche tra Usa, Uk e Cina che hanno concluso un accordo (temporaneo ?) sono straordinariamente più alti di prima del 2 Aprile ed era ovviamente impensabile che si potessero mantenere dazi reciproci tra Usa e Cina superiori al 100%. E tutto ciò senza contare che l’altra metà dell’Occidente, cioè l’Europa non ha ancora iniziato una discussione sui dazi.
Da un punto di vista macroeconomico le previsioni sull’andamento dell’economia mondiale sono state tutte riviste al ribasso e questo non è ininfluente, né nei mercati, né nell’economia reale: si rallenta l’erogazione del credito, le decisioni di spesa e di investimento con conseguenze sull’occupazione.
Sotto il profilo delle certezze economiche, infine, lo scossone è stato violento e la frattura nel rapporto fiduciario con gli Usa e con il dollaro appare insanabile, almeno per i prossimi anni.
Niente è come prima
È suonato un campanello di allarme per la Ue che deve rendersi autosufficiente e più coesa da un punto di vista economico, del mercato dei capitali e della difesa. Al di là delle giravolte del tycoon, tramontato Trump (se non altro per ragioni anagrafiche), dietro di lui cresce l’influenza del ben più estremista Vicepresidente, J.D. Vance, di cui non bisogna dimenticare le parole cariche di disprezzo verso la Ue.
- Economista