DEBITO PUBBLICO MALE ASSOLUTO E L’ INESORABILE CONTO  DELL’INFLAZIONE

Per un po’ di tempo c’è stato chi si rallegrava perché l’inflazione si sarebbe occupata di ridurre il valore reale del debito pubblico in Italia; chissà perché, leggendo queste teorie bislacche mi veniva in mente la famosa storiella del marito che voleva fare un dispetto alla moglie.

La Nadef 2022 approvata dal Governo Meloni inchioda lo Stato alla dura realtà dei numeri. Difatti, gli interessi passivi pagati sul debito pubblico salgono dai circa 62 miliardi del 2021 ad oltre 77 miliardi per il 2022. La cifra era già enorme nel 2021 (più o meno pari a tutta la spesa per istruzione: dalle scuole materne all’Università) e quest’anno registra un incremento del 23%; un maggior esborso di 15 miliardi. Somme sottratte alla sanità, agli investimenti, ai sussidi per le bollette; insomma sottratte a scopi ben più utili.

È il conto inesorabile dell’inflazione, e non solo. Per anni i Governi che si sono alternati sono rimasti sordi ai richiami di chi invitava a tenere in debita considerazione l’ipotesi di un rialzo dei tassi di interesse. Su queste pagine ne abbiamo scritto fino quasi alla noia: data la dimensione abnorme del nostro debito pubblico, un rialzo anche piccolo in termini percentuali si sarebbe tradotto per lo Stato italiano in un enorme maggior esborso in valori assoluti. Ignorando questa considerazione di puro buon senso, per anni, a partire dal whatever it takes di Mario Draghi, passando per il Quantitive easing e dal programma di acquisti pandemici della Bce, ci si è illusi che la innaturale condizione di tassi zero o addirittura negativi potesse proseguire senza limiti.

E invece è giunto alla fine quello che io chiamavo “il paradosso italiano dei bassi tassi di interesse”: debito crescente e spesa per interessi calante. Adesso la situazione si è invertita: spesa per interessi crescente, anche a debito costante. E non è nemmeno così, perché il debito continua a crescere; per un importo pari al 5,6% del Pil nel 2022 (per 4, 5% nel 2023). In numeri: 63 miliardi di euro di debito incrementale 2022, che si sommano a titoli in scadenza da rinnovare nel 2023 per 406 miliardi (stima UPB), in totale oltre 470 miliardi di emissioni. Circa un quarto del Pil. A che tassi?

  • Economista
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