LETTA SU ROMA “SI GIOCA L’OSSO DEL COLLO” E INFILA IL CACCIAVITE NEL PD SENZ’ANIMA

Enrico Letta ha un problema Capitale: la partita per il Campidoglio e il cerchio fatale che non si chiude con i grillini. Si inventa le primarie e Calenda insorge: “Difficili  e inopportune”. La spina Conte e l’assembramento pd rischiano di svuotare l’identità del partito

“Su Roma mi gioco l’osso del collo”. Enrico Letta ha un problema Capitale. Proprio lui tornato dalla Francia “non per vivacchiare” e per “non lasciare l’Italia in mano a Meloni e Salvini” ora è di nuovo costretto a fare i conti con un Conte che aspira ad essere leader, non comprimario, di una nuova coalizione a sinistra. Questione minore per ora. Perché ubi maior Conte cessat. Sempre e solo per ora. I problemi, spinosi, sono vicinissimi e ravvicinati.

Il problema prossimo venturo, quello su cui tutto si fonda, si chiama matassa Roma Capitale. E Papa Letta il dialogante conciliatore “determinato” però, come calca ieri sera da Otto e mezzo, sta approntando il “manuale” – e stavolta non d’amore-  su come scalare il Campidoglio, sempiterno Colle politicamente dorato o stregato per i  sindaci “de Roma” aspiranti imperatori di Palazzo Chigi. Ma la via che porta a Palazzo Senatorio per Enrico Letta è sempre più stretta e l’assembramento piddino e dintorni sempre più fitto. Quella romana è la carta che, se vincente, potrebbe consentire al mite Enrico di essere più sereno, almeno per un po’, nel suo schema che va dall’inno alla fallita Europa allo ius soli per riconquistare l’elettorato transfuga.

Lui lo sa benissimo e non ne fa mistero. Lo dice apertamente che su Roma si può rompere l’osso del collo (quello del pd è già rotto) così applica la logica del divide et impera, non chiudendo al coriaceo Calenda (primo osso duro). Anzi, attenzione, lo elogia come proposta interessante.

Sa che sciogliendo e vincendo il nodo Capitale si potrebbero dissolvere in sequenza tutti i nodi piddini e aprire così la sua vera sfida politica. Perciò infila il cacciavite- da sua metafora- nell’anima del pd già trafitta. Recita l’agenda del segretario: alle politiche alleati col m5s, sì a Renzi ma non ponga veti, sulle riaperture ha ragione Draghi, Salvini si adegui. In questo modo diventa stampella sinistra di Draghi in funziona antilega, suo vero obiettivo, conscio che negli equilibri attuali con la lega nei posti chiave al governo il pd non ha voce in capitolo e su Roma s’inventa le primarie, sfida tra Calenda e Gualtieri ( divide et impera appunto, da capire se stavolta nella divisione imperare si potrà). L’idea apparente e papalina è quella di tentare di riunire bonariamente tutto il centrosinistra alle comunali della Capitale. Un laboratorio insomma, come nelle storiche intenzioni del plenipotenziario Bettini che portarono al “Modello Roma” ma lo schema è vecchio e nel presente pieno di nuove insidie.

Il fine è di arrivare al secondo turno e raccogliere i voti dei 5 stelle. I grillini, appunto. “Il nostro giudizio sul sindaco uscente non è lo stesso di quello dei 5 Stelle, e rischia di essere una pietra di inciampo”, dice.

Per questa ragione, ragiona, occorre fare una coalizione con chi è a loro più vicino. Letta vuole aprire ad un’alleanza tra partiti che si “rispettano”.

Ma dovrà vedersela con l’europeista romano Calenda che non cede di un puntino e con puntiglio poco fa dichiara: “Primarie? Difficili e inopportune”. Le bolla al secondo punto come una inutile perdita di tempo “perdere tre mesi sarebbe una follia” e si farebbe guadagnare un grande vantaggio alla Raggi. Terzo politico dubbio. Da ascoltare: “Non ho nulla contro le primarie ma tendono a sparire magicamente quando c’è un nome che piace al Pd o quando emerge un possibile accordo con 5S. È già accaduto due volte da ottobre”. E poi lui non può candidarsi alle primarie pd “non facendo parte del partito”.

Rimane però la volontà di Letta di ricucire con Calenda anche in funzione anti Renzi, ecco perché ieri sera dallo studio di Otto e mezzo lo ha politicamente accarezzato visto che Calenda è al momento vincente al confronto di un Gualtieri spento dopo l’uscita da ministro e la non splendida performance governativo europesita.

Solo pochi giorni fa Calenda lo aveva anticipato: “A Roma ci sono due candidati, io e la Raggi”. Lui è in pectore da ottobre e da ottobre lavora, figurarsi se lascia, intenzionato com’è a raddoppiare.

L’altro osso su cui Letta può rompersi quello del suo collo ( tanto per ri-citarlo) è l’attuale sindaca Virginia Raggi. La sindaca, molto legata alla poltrona da cui si gode- assicuro per dovere di cronista politica- la più spettacolare vista sui fori, serafica assicura che otterrà un ottimo risultato. Mal che vada arriverà al secondo turno, il che sarebbe già  un buon successo per lei, considerate le condizioni di partenza. Il tutto in una Roma che affoga nella puzza e nell’immondizia, nei trasporti azzoppati con le attività commerciali del centro al collasso, tra scandali e inchieste giudiziarie.

Ma tornando alla nobile politica, quale conto su Roma porterà Raggi al suo nuovo leader Conte? Il quale dovrebbe essere l’alleato “rispettoso” di Letta ma che a quanto pare non ha ascendente su Raggi, impegnato com’è a consolidare la sua immagine tra le trappole di Grillo che sul doppio mandato lo ha esposto al fuoco incrociato e il calo di gradimento, dal 61 al 57 per cento, tra febbraio- marzo, da quando cioè ha deciso di accettare la guida dei 5 stelle. Motivo per il quale avrebbe fatto il pensierino di mandare tutto in fumo per fare un’altra aggregazione demo-cristiana. D’altra parte Letta da par suo non immagina affatto Conte come “leader progressista” ma- attenzione- “come leader di riferimento”. Ieri sera Lilli Gruber glielo ha fatto ripetere due volte, casomai fosse sfuggito ai più.

Intanto Letta nel grande e amorevole assembramento ha visto tutti i rappresentanti politici. A cominciare dal premier Draghi che cerca in tutti i modi di avvicinare formalmente approfittando delle uscite minacciose del Salvini aperturista. In sequenza ha incontrato: Casellati, Fico, Conte, le litigiose signore del suo pd, il Marcucci costretto a cedere la poltrona di capogruppo in Senato, le sardine.

Chi manca? Il suo Rottamatore, ovvio. Alla fine le spine. I due si vedranno a breve: “ Lo vedrò e parleremo del futuro della sinistra”.

Proprio il Renzi che dice di dover “ringraziare”: “Ho imparato, ho capito e sono tornato”.

Così dice Enrico “anima e cacciavite” del partito tanto amato dove forte è l’assembramento e che rischia di perdere l’anima in toto.

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