BUFALE D’EUROPA E CONTI VERI ALL’ITALIA DARANNO UN ‘INSALATA GRECA

Ci sono dei segnali inquietanti che però i giornaloni non vedono: il Recovery Fund si allontana e diventa sempre più una promessa futura e incerta. Carlo Cottarelli – di solito citato come l’oracolo di Delphi – stavolta non trova ascolto perché le sue previsioni non piacciono al meinstream europeista e il futuro è sempre più nero. Una domanda a Lega e Forza Italia: vi siete accorti di come stanno davvero le cose?

Cantava Caterina Caselli: la verità mi fa male lo so. E i corifei di Mario Draghi con la paura di disturbare il manovratore seguitano la strofa con: nessuno lo può giudicare. Salvo la verità fattuale che però in Italia quando questa verità scaturisce dalla constatazione del fallimento dell’Europa così come l’abbiamo sin qui conosciuta viene opportunamente ignorata. Come le previsioni che Carlo Cottarelli (stessa sigla dell’urlatrice anni 70, forse non è solo una coincidenza!) ha rilasciato alcuni giorni fa anch’esse regolarmente ignorate. Strano: di solito questo economista, che fu anche presidente del Consiglio per un giorno, viene assunto come l’oracolo di Delphi. Il fatto è che stavolta le sue previsioni possono disturbare i manovratori. Il risultato è che tra bufale europee e conti veri questa Italia strabica- che non vedere se non quello che fa comodo a chi comanda pur non avendo consenso popolare – s’avvia al fallimento. Alla fine l’Europa invece del Recivery Fund ci servirà un’insalata greca, molto, molto indigesta. La metafora col Titanic è anche troppo abusata e forse neppure s’attaglia al momento presente: di gente allegra e che balla ormai in questo paese se ne incontra pochina! Semmai siamo come un autobus di rassegnati gitanti lungo una discesa senza freni. Cerchiamo di capire che cosa sta accadendo.

Si parte dalle bufale europee. Sono di tre ordini di motivi – riguardano i vaccini, i tassi e il Recovery fund – e se avessimo una classe politica avvezza a misurare i fatti nel rapporto di causa effetto saremmo già dovuti partire per Bruxelles e chiedere che la signora Von der Leyen faccia le valige con buona parte della sciagurata euroburocrazia che ci ha portato al disastro dei vaccini. Fa anche un po’ stizzire sentire il nostro presidente del Consiglio dire che sono state le case farmaceutiche a fare le furbe per evitare di dire la verità: è l’Europa taccagna che si è fatta fregare. Si sono scontrate in questa pandemia due visioni del mondo: quella tutta normativizzante e costruttivista, per dirla con un grande liberale come Corrado Ocone, franco-teutonico che sospetta delle imprese e vuole imporre il dominio della norma su tutto, e quella pragmatico-liberale del mondo anglosassone che benedice le imprese, pone pochi ma inderogabili paletti. Il risultato è che Usa e Gran Bretagna hanno i vaccini e stanno galoppando con le loro economie, l’Europa è al palo. Ma a dimostrare la sua ottusità burocratica l’Ue con monsiuer Breton – il commissario alla pandemia oltreché all’industria – ci fa sapere che ha già studiato il passaporto vaccinale. Peccato che non abbiamo i vaccini e sempre Breton ci racconta che entro metà luglio l’Europa raggiungerà l’immunità di gregge. A oggi l’Europa ha vaccinato il 6 % della sua popolazione cioè circa 24 milioni di persone. L’immunità di gregge si raggiunge all’80%. In Ue siamo 446 milioni il che significa che in 120 giorni Breton è convinto di poter vaccinare 2,7 milioni di europei al giorno compresi sabato, domenica e ferie. Volete avere un senso della proporzione? La campagna vaccinale è partita a fine dicembre, abbiamo vaccinato 24 milioni di europei in 100 giorni: una media di 240 mila vaccinati al giorno. Vedete voi quanta probabilità abbia Breton di centrare l’obbiettivo. Ma c’è un altro dato che dice tuto. Ieri la Gran Bretagna ha contabilizzato zero, dicasi zero, morti per virus cinese, l’Europa 1721. Forse la Brexit conviene (a tacer d’altro). Ma se questo è il contesto ci sono altre due verità che vengono nascoste. La prima è che l’inflazione si sta scaldando davvero e che dunque Christine Lagarde non potrà continuare a tenere i cordoni della borsa della Bce così laschi. La seconda, taciuta da tutti, è che il Recovery Fund è sempre più una promessa molto futura e altrettanto incerta. Abbiamo scritto nei giorni scorsi che la Corte Costituzionale tedesca ha intimato al presidente della Repubblica di Germania di non firmare la ratifica del Recovery. Un impiccio lo hanno definito i nostri commentatori euroinomani. Davvero? Ammetiamo pure che alla fine i giudici di Karlsruhe si convincano che per amor di patria si può dare il via libera, ma quanto tempo ci vorrà? Intanto sappiamo che su 27 parlamenti solo 13 hanno ratificato il Recovery e all’appello mancano tutti i paesi cosiddetti frugali. In seconda battuta va chiarito che mancano 30 giorni alla scadenza della presentazione dei piani nazionali e che l’Italia ha mandato “regnante” Conte delle bozze a Bruxelles che sono state adagiate nel cestino. In terza battuta sappiamo che gli agricoltori di mezza Europa (in Francia hanno fatto manifestazioni dure di piazza da noi per ora solo comunicati) dicono che il programma Farm to Fork inserito nel Green New Deal che è gran parte del Recovery così com’è concepito significa la morte economica delle agricolture. Tirando le somme vuol dire che i soldi del Recovery che dovevano già essere per una parte in cassa non ci sono e non arriveranno prima della fine dell’anno, anche se non sono un grande affare come abbiamo già qui dimostrato. Ma cosa significa questo? Che la legge di bilancio scritta da Roberto Gualtieri, ministro euroinomane dell’Economia in quota Pd, è da buttare perché mancano all’appello almeno 30 miliardi che dovevano arrivare dall’Europa.

E ora veniamo a Carlo Cottarelli. Il fu autore della mitica “revisione della spesa” subito accantonata ha scritto nero su bianco quanto segue: “La seconda e la terza ondata di Covid-19 hanno peggiorato le prospettive per l’economia italiana e per i conti pubblici del 2021.  Il deficit potrebbe raggiungere quest’anno il 10,2% del Pil, superiore di 50 miliardi e 3,2 punti percentuali rispetto alle ultime stime del governo indicate nell’aggiornamento del Def. Con una crescita al 3.5% e il peggioramento del deficit, il debito pubblico salirebbe ancora, fino al 159,6%.”. E’ una previsione da incubo, ma nessuno se l’è filata. Tuttavia i contorni di questa previsione sono chiari: l’Italia è in pre-fallimento. Inutile dire che ci si aspetta una disoccupazione sopra all’11%, che gli italiani in povertà assoluta già oggi sono 6 milioni, ma potrebbero diventare 7 da qui a fine anno, che il ceto medio si è ridotto dal 42 al 24% della popolazione, che la produzione industriale è inchiodata e abbiamo perso quasi 8 punti di export. Inutile perché il dato più evidente è che Mario Draghi non riesce ad avere una visione di paese, anche lui è stato contaminato da Roberto (senza) Speranza il ministro di salute e clausura. Ragiona nell’angusto spazio dell’emergenza. Il governo si troverà di fronte ad una scelta esiziale: ho far affondare il paese o scegliere la strada della rivoluzione industriale. C’è infatti un elemento dirimente: le politiche fiscali e di bilancio si applicheranno su una base imponibili e produttiva assai ridotta per effetto della chiusura sciagurata nei modi e tropo prolungata nei tempi.

Ci aspettano l 30 di giugno almeno 2,7 milioni di fallimenti se l’Europa non cambia le regole bancarie, ci aspetta la chiusura di almeno un milione di imprese da qui alla fine dell’anno, avremo almeno un milione e mezzo di licenziamenti appena verranno sbloccati. Sempre che la Lagarde possa continuare a comprare titoli pubblici, sempre che i tassi restino inchiodati, sempre che alla fine il patto di stabilità europeo resti congelato. Ma dal 2023 tornerà comunque in vigore e l’Italia con queste cifre non potrà sottrarsi alle condizionalità e allora ci faranno mangiare un’insalata greca. Assai indigesta. Servirebbe una riforma fiscale che liberasse risorse, servirebbe un dimagrimento fortissimo della spesa improduttiva statale, servirebbe un rilancio forte degli investimenti, una delegificazione e una sburocratizzazione. Tutte cose che il Pd, i Cinque Stelle e la sinistra impediranno. Ora viene da chiedersi se Lega e Forza Italia abbiano ben presente la posta in gioco, se sono in grado di porre agli italiani la domanda: vale la pena morire per questa Europa? E ancora se sono in grado di contrastare la deriva statalista che l’Italia ha preso con il governo bis-Conte e se sono in grado di mettere in campo l’unica soluzione possibile: riaprire il Paese per far ripartire l’economia comprando i vaccini dove sono, per quanto ne serve e liberandosi del giogo burocratico di Bruxelles. Il gioco è durissimo: vedremo un gigantesco scontro di potere anche in vista delle elezioni del presidente della Repubblica. Comprate i pop corn perché siamo solo all’inizio.

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