L’ECODITTATURA CHE VERRA’ NEW GREEN DEAL DISASTRO ECONOMICO

C’è da chiedersi se a Bruxelles conoscano minimi fondamenti di economia. La rivoluzione verde voluta da Ursula Von der Leyen condanna il continente a un arretramento economico da Medioevo. Lo dice la Deutsche Bank che in uno studio ammonisce: “Non state dicendo la verità agli europei; per arrivare a emissioni zero nel 2050 dobbiamo perdere milioni di posti di lavoro e distruggere la proprietà privata. Potete farlo solo se abolite il potere democratico”.

Sarebbe interessante spiegare al popolo che ritiene i movimenti ecologisti esclusivamente di sinistra perché anti-capitalistici, che pensa che Serge Latouche – economista visionario francese teorizzatore della decrescita (in)felice – sia una sorta di angelo vindice del profitto ad ogni costo, che le cose non stanno così. I primi a pensare all’intangibilità della natura sono stati nel secolo breve (il ‘900) i nazisti. Insomma gli antenati ideologici di Greta piangevano per gli agnelli e gasavano gli ebrei con lo stesso trasporto ideale. Esisteva un manuale di nutrizione della gioventù hitleriana che sconsigliava di mangiare carne e di nutrirsi di soia. Hermann Göring – il fedele e feroce braccio destro di Hitler – era un convinto animalista e durante il Terzo Reich furono emanate leggi contro la vivisezione. Magari si potevano ammazzare milioni di uomini nei campi di sterminio, ma gli animali no.

C’è una figura emblematica: Ernst Moritz Arndt, il teorizzatore del pensiero ecologista contemporaneo, fu un esponente del più violento e xenofobo nazionalismo. Il suo allievo Wilhelm Heinrich Riehl fu il più duro oppositore dello sviluppo industriale e della modernità. Ernst Haeckel che nel 1867 coniò il termine ecologia credeva nella superiorità razziale nordica ed era un sostenitore dell’eugenetica razzista da cui il programma T4 di Hitler per lo sterminio dei disabili e degli omosessuali. Aderì alla Thule un’organizzazione segreta della destra radicale che fu la culla del movimento nazista. E in Germania questa tendenza dell’ecologismo di estrema destra non è affatto tramontata. In Pomerania comandano i verdi neonazisti e per quanto i Verdi tedeschi siano formazione di sinistra in procinto di comandare al Bundestag se i consensi continueranno a lievitare è di tutta evidenza che una parte degli ecologisti hanno una storica confidenza con l’anti-democrazia.

Perché fare questa lunga e teorica premessa? Perché Ursula Von der Leyen intende qualificare la sua presidenza della Commissione europea non solo col fallimento del piano vaccinale che relegherà l’Europa agli ultimi posti tra le economie sviluppate, ma anche con il Green New Deal il più grande progetto di distruzione di massa di ricchezza mai concepito. Per imporlo dovrà praticare una ecodittatura. E’ l’idea che l’Europa entro il 2050 sia a emissioni zero, l’idea che noi saremo un’isola verde nel mare della globalizzazione. Sono i deliri ecologically correct che sembrano attraversare il nostro ristretto mondo Occidentale. Greta Tuhnberg suo malgrado è diventata la Giovanna d’Arco del nostri giorni, Francesco ha fatto diventare l’ecologia il primo comandamento e fondamento della dottrina cattolica, perfino il neocomandante generale dei Carabinieri Teo Luzi ci ha fatto sapere che l’Arma deve “imparare da Greta”. E così il Green New Deal che a molti era sembrato il libro dei sogni quando nel 2019 la Von der Leyen lo ha presentato ha ripreso forza e vigore.

Parliamoci chiaro non una cifra del GND funziona. C’è scritto che si troveranno 750 mila posti di lavoro nell’economia circolare, che avremo 150 miliardi d’investimenti (in dieci anni, cioè 15 all’anno diviso 27 paesi dell’Ue fa spannometricamente 500 milioni all’anno!) e che per partire ai paesi viene data – udite udite – la dotazione di 7 miliardi che sempre divisa per 27 fa 260 milioni. Poi certo ci sono gli eurobond verdi, i prestiti della Bei – dunque altro debito che gli Stati devono fare per dipingersi di verde – ma soprattutto deve esserci l’intervento dei privati. Si sono resi conto che il Green New Deal era un patto scritto sull’acqua anche se la cultura dell’eurocrazia tutta normativista aveva già studiato sanzioni, multoni e rimproveri per chi non stava al passo con le bizze di Greta. Ma ecco il colpo di fortuna: è arrivato il virus cinese. E allora una volta scritto il Recovery Fund (altro libro dei sogni) ci hanno infilato il Green New Deal perché ben il 37 % dei fondi previsti dal Next Generation Ue sono soldi da spendere esclusivamente in politiche ambientali. Facendo i conti su 750 miliardi di (possibile) dotazione del Recovery o Next chiamatelo come volete si tratta di 277 miliardi. Ora noi qui su Beconomy abbiamo ampiamente anticipato che dietro le fumisterie lessicali del siamo tutti sostenibili, resilienti, verdi e contenti, erano tutte bufale. I soldi del Recovery non ci sono e se va bene arrivano decurtati a inizio anno prossimo (all’Italia dei 209 miliardi iniziali di cui 127 a debito ne arrivano forse 191 di cui però sempre 127 a debito), i soldi del Green New Deal non ci sono, ci sono però le sanzioni e addirittura la Von der Leyen si è spinta a chiedere al Parlamento europeo una legge che impedisca ai parlamenti nazionali di votare provvedimenti in difformità di quanto scritto nel Green New Deal. E’ un inizio di dittatura. Le ragioni che spingono la signora Von der Leyen non sono tutte lacrimevoli e naturalistiche, ve ne sono anche di cinicamente economiche e biecamente politiche. Anche questo lo abbiamo già scritto su B-economy, ma un ripassino non fa mai male. Perché la Von der Leyen insiste sul Green New Deal?

Perché vuole far pagare all’Europa la ristrutturazione del sistema industriale tedesco che è quanto di meno ambientalista si conosca. Per saperlo non importa andare nella Ruhr dove a scopo dei turisti e dei cronisti hanno riconvertito in parco giochi le miniere di carbone, bisogna andare, per esempio, a Gütersloh, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, dove ci sono gli stabilimenti della Tönnies. Lì ci lavorano 7 mila operai che vengono da Polonia, Romania e Bulgaria che a 3 euro l’ora per 12 ore al giorno macellano e smontano circa centomila maiali al giorno allevati in gabbie di un metro per due. Proviamo a pensare quant’è il carico ecologico di queste attività? Bene l’Europa a trazione tedesca di mutualità del debito non vuole sentire parlare, ma di emettere eurobond verdi sì. Perché ? Perché con i soldi di tutti si pagano le ristrutturazioni tedesche. La seconda ragione per cui la Von der Leyen ci tiene tanto a fare dell’Europa un isola ecologica è che a settembre in Germania si vota; Angela Merkel va in pensione e i Verdi potrebbero soppiantare la CDU (sarebbe la Democrazia cristiana) che è il partito di Ursula nella maggioranza. Questo è il quadro. Peccato però che a Ursula di questi tempi non gliene vada dritta una. Ed ecco che la Deutsche Bank (il colosso del credito tedesco che è piena di problemi, ma che intanto mette obbligazioni verdi) si è messa a studiare il Green New Deal ed è arrivata conclusioni apocalittiche. Sentiamo in diretta Eric Heymann, economista senior presso Deutsche Bank Research.

Afferma: “Il Green Deal europeo e il suo obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 minaccia una mega crisi europea, portando a una notevole perdita di benessere e posti di lavoro. Non funzionerà senza un certo grado di eco-dittatura”. Heymann si spinge oltre e accusa: “Attorno alla transizione ecologica c’è un dibattito disonesto. Dovreste avvertire gli 830 mila occupati tedeschi nell’industria dell’automobile che perderanno il posto. Alcune parti troveranno argomenti contro rigide politiche di protezione del clima se queste ultime portano a un aumento significativo dei prezzi dell’energia o a restrizioni della libertà personale o dei diritti di proprietà. E non illudiamoci: questi partiti troveranno il sostegno degli elettori. A livello dell’UE, ci saranno grandi conflitti sulla distribuzione, che potrebbero contribuire a (ulteriori) divisioni all’interno del blocco. Siamo pronti ad affrontare questa polarizzazione?”. Si può essere ancora più espliciti affermando come fa Deutsche Bank che “la politica climatica si presenta sotto forma di tasse e tariffe più elevate sull’energia, che rendono il riscaldamento e la mobilità più costosi. Se vogliamo davvero raggiungere la neutralità climatica, dobbiamo cambiare il nostro comportamento in tutti questi ambiti della vita. Questo semplicemente perché non ci sono ancora tecnologie adeguate e convenienti che ci consentano di mantenere i nostri standard di vita in modo neutro in termini di emissioni di carbonio.  Cosa dovremmo fare se i proprietari di immobili non vogliono trasformare le loro case in edifici a emissioni zero? Se non hanno i mezzi finanziari per farlo? Se ciò non è possibile per motivi tecnici o se i relativi investimenti non vengono ripagati?

Per imporre queste scelte dovremo allora istaurare una eco-dittatura”. Siamo tornati da dove siamo partiti: forse ecologia e democrazia non vanno proprio d’accordo. Anche perché qualcuno dovrebbe spiegare agli africani, agli indiani, a gran parte dei cinesi perché loro che non si sono mai seduti a corte, quando il banchetto si comincia intravvedere dovrebbero non parteciparvi? C’è il rischio di conflitti pesanti. Oppure noi europeo dovremmo farci poveri per salvare il pianeta in nome degli altri? Pianeta che peraltro non ci ha chiesto di essere salvato. Lui se la cava benissimo da solo perché semmai i problemi sono di noi umani. Ma c’è già chi dice no. Ad esempio gli agricoltori francesi che hanno cosparso di letame le città. I nostri per ora si limitano ai comunicati stampa. Il tema è che nel Green New Deal c’è anche il programma Farm to Fork che impone all’agricoltura di azzerare il suo impatto ambientale. A queste condizioni dicono gli agricoltori è impossibile coltivare ai prezzi che i consumatori sono disposti a pagare, ma questo non significa che non importeremo prodotti coltivati senza sottostare alle regole ecologiste dell’Europa. Che peraltro espelle la chimica dei campi, ma la mette in tavola.

Promuovendo il Nutri-score ( l’etichetta a semaforo, ma ce ne occuperemo prossimamente) sdogana i prodotti alimentari ricchi di sostanze di sintesi. E allora? Allora siamo alla solita Europa tutta burocrazia e niente cervello. Così la Von der Leyen ha capito che deve lanciare un Green Deal mondiale per evitare di essere un agnello ecologista in un mondo di lupi che inquinano, ma producono a costi più bassi cancellando del tutto l’economia europea. Ovviamente è un appello caduto nel vuoto. Ma Ursula insiste: saremo poveri, ma con la coscienza ecologista a posto.

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