BERTOLASO DA’ BUCA AL CENTRODESTRA, NESSUN BONGIORNO PER ROMA. GUALTIERI ARRANCA, VIRGINIA LA ZARINA SE LA RIDE

“Veni, vidi, vici”. Così Giulio Cesare annunciò la vittoria su Farnace nel 47 a. C. Lo racconta Plutarco.

Triunviro, generale console, pontifex maximus, una parola, un nome: Cesare. Ed è nell’Aula Giulio Cesare di Palazzo Senatorio, nello splendore del Campidoglio, che il nuovo re di Roma, volente o nolente, dovrà sedere sullo scranno più alto. Parliamo di Roma, del caso comunali della Città Eterna. “De Cesare n’un ce stanno più- dice un tassista sconsolato- sta città l’hanno distrutta”. Vox populi, vox dei. Chi sarà il nuovo Cesare, si fa per dire ovviamente, tra i partiti azzoppati e fiaccati alla ricerca del candidato perduto impossibile dirlo. Andiamo con ordine perché a regnare sovrano è rimasto solo il disordine.

Ex Casa delle libertà di berlusconiana armonia, oggi incarnata da Meloni-Salvini-Tajani: la notizia è che il centrodestra non potrà più votarsi a San Guido a Roma. San Guido è Guido Bertolaso, ovviamente lui, l’uomo delle emergenze e per qualche giorno della provvidenza romana, che signorilmente saluta. Il suo futuro è lontano da Roma. Lo aveva anticipato, poi detto e ribadito. E sinceramente lo si era compreso, ma nel centrodestra si era finto di non capire. Ma sì, in fondo Guido non ha detto ancora no, ma forse dirà sì, però, magari, forse, chissà…Pensare che si era fatto pressing perfino sul Cavaliere che a sua volta avrebbe dovuto far pressing su Guido.

E adesso il centrodestra a Roma ha un problema Capitale. Panico. Ieri i senatori  interpellati erano a dir poco smarriti e rispondevano che tutto è in alto mare. Le carte le dà Salvini ma deve vedersela con la Meloni, dicevano e coraggiosamente si dileguavano. La Meloni è Giorgia, sempre più fieramente Giorgia che con il suo libro sta sbancando, che se si candidasse a Roma sbancherebbe ma che ha altre mire: se quelle di Bertolaso non vanno verso Roma, quelle di Giorgia sono dirette a Palazzo Chigi. Salvini ci prova individuando le risorse, si era pensato a Giulia Bongiorno ma l’ipotesi è tramontata, troppo importante il suo ruolo per Salvini in area nazionale. Si era rumoreggiato ad Agorà su Francesco Storace, ex presidente della Regione Lazio, uno che va al sodo, conosce bene Roma, stimato da Salvini, da anni sprona la riforma di Roma Capitale. Ma nulla di fatto. Si ipotizza un nome non politico che non ci rimettta troppo le penne, un’ottima occasione per perdere poiché a Roma ci vuole un Cesare della politica che sappia vincere e amministrare o un Doge modello Zaia, oppure una signora della politica che sfrecci senza fare sconti, sostenuti da una squadra di alto profilo. Qualcuno dice, e a ben dire, che per la partita di Roma non si muove soglia ( quella di Palazzo Senatorio) che Giorgia non voglia. Ed è così. A questo si aggiunge il nodo candidature Regione per il centrodestra, altra partita non facile, perché Zingaretti, divenuto ex fu zar Nicola causa faide pd, logorato sì dai suoi in Regione per il caso concorsopoli, ha ancora molto da giocarsi considerata l’ottima campagna vaccinale del Lazio di cui è governatore. E alla fine dei conti, il dato che resta impresso nella percezione dei cittadini smarriti dal Covid è solo questo. Zingaretti lo sa, tiene ancora nei sondaggi, pertanto ha costretto i suoi in consiglio regionale a dimettersi dopo lo scandalo concorsopoli. Basta rogne nella già avvelenata casa pd. Letta ha fatto di tutto per spingerlo a candidarsi a Roma, essendo l’unico ad avere chance ma poi i grillini lo hanno fregato ricattandolo ( se si fosse candidato in Campidoglio gli avrebbero fatto saltare il posto in Regione)  in primis la Raggi che si è fatta blindare da Conte e ha dettato la sua linea. Così è rimasto in pista il povero Gualtieri che arrancando si è messo a faticare da subito per tirare il carro pd. E non sarebbe una gran figura se l’ex ministro dell’economia perdesse proprio a Roma.

A chi gli chiede anche da sinistra se appoggerà la Raggi qualora non andasse al ballottaggio, risponde come un mantra: “Che io non vada al ballottaggio?  E’ un periodo ipotetico dell’irrealtà”. L’ex ministro gira le periferie ignaro della realtà e comincia da lì perché sa che Raggi è forte in queste zone. Il centrosinistra ha uno strampalato programma ma che gli serve per creare movimento mentre il centrodestra è al palo. Candida Gualtieri e promuove le primarie, una sceneggiata, un film con il finale con la G. Pensate che sale a sei il numero dei partecipati alle primarie. In campo anche Fassina di Leu e con Imma Battaglia, attivista Lgbt, si potrebbe arrivare a sette. “Venghino signori candidati venghino”! Al Pd sono democratici, fitto è l’assembramento.

Dulcis in fundo Carlo Calenda coriacemente in partita Capitale: “Sono stato il primo a scendere in campo e a lasciare non ci penso proprio, amo Roma”. Non come l’ex fu zar Nicola che per amore lasciò il suo partito. Lui non lascia, raddoppia. E ieri ha lanciato la sua campagna elettorale con un claim: “Al mio segnale scatenate l’inferno”. Non sarà Cesare ma la parte del lottatore romano gli piace e di certo non molla, convinto com’è che il pd gli vuole imbastire un tranello: “Vedrete che al ballottaggio preferiranno la Raggi”. Una convinzione abbastanza fondata. Resta lei: non è imperatrice ma zarina sì. Ecco perché: da sempre sottovalutata e ipercriticata è riuscita in un sol colpo ad azzoppare Zingaretti, unico competitor, a minare Letta e la flebile alleanza pd cinque stelle (Letta e Boccia hanno lavorato per giorni con Giuseppe Conte per sbrogliare la matassa a favore di Zingaretti) banco di prova del più ampio patto pd-grillini in nazionale. E Letta, oggi al suo primo fallimento politico romano, firmato Raggi, lo aveva preconizzato mesi fa.

Beconomy lo aveva anticipato: “So bene che su Roma mi posso rompere l’osso del collo”. Virginia la zarina: una mossa e due colpi. Quale sarà il terzo? E nel centrodestra stanno ancora a guardare.

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