LA CHIAMANO PAC MA E’ UN PACCO COSI’ L’EUROPA ATTACCA CAMPI E IL NOSTRO AGROALIMENTARE

Lo stallo sulla politica agricola nasconde in realtà un’incapacità dell’Europa di farsi protagonista sui mercati mondiali. E sotto traccia c’è la volontà di mettere mani sul nostro agroalimentare che vale da solo 300 miliardi. Bruxelles favorisce le multinazionali contro gli agricoltori. E’ tempo di fare un’offensiva politica.

La chiamano Pac (politica agricola comune) ma stanno per mollarci il pacco. E sarebbe il caso che il nostro ministro agricolo Stefano Patuanelli si desse una mossa: stanno cercando di mettere le mani sul made in Italy e l’Europa non conta nulla sul mercato mondiale delle materie prime agricole che stanno subendo impennate di prezzo forsennate. Non si trova l’accordo a Bruxelles e il cosiddetto trilogo (i colloqui trilaterali tra Parlamento, Commissione e Consiglio d’Europa) sono su di un binario morto. IL tema? Sempre il solito: voglio fregare il made in Italia e più in generale le colture mediterranee, non sentono ragioni sullo sviluppo rurale e in più voglio caricare sulle aziende agricole, che già devono compiere circa 300 adempimenti burocratici all’anno, altre scartoffie: per la sostenibilità sociale. Poi se con l’immigrazione fuori controllo arrivano gli “schiavi” importati dalla mafia pakistana che fa lavorare i braccianti al nero nei campi non è rilevante. L’importante è che il politically correct sia salvo.

Solo gli ultimi casi: a Macerata avevano schiavizzato 72 connazionali, altri 70 ad Ascoli, a Senigallia ne tenevano 32 in un sottotetto, a Cessalto nel trevigiano c’era una rete di sfruttamento di 40 braccianti,  così a Mondragone, otre 100 a Caltanissetta e Butera. Gli schiavi arrivano da Lahore, da Karachi dove la mafia pakistana fa morire di sete la gente, da Quetta, da Taxila; da Islamabad portano le prostitute. Ma in Europa va così. Non vogliono mettere fuori gioco il glifosato il più forte erbicida del mondo prodotto dalla Monsanto che è di proprietà della Bayer, guarda caso tedesca, e così s’inventano un report di 4 nazioni che dicono che non è cancerogeno, esultano per aver trovato un accordo sui dazi americani, ma no dicono che intanto Gran Bretagna e Australia hanno fatto un accordo per eliminare i dazi sugli alcolici il che significa che i vini dei canguri avranno una prateria a Londra che è il nostro, di noi italiani, quarto cliente mondiale. E dicevano che la Brexit fregava Boris Johnson, a quanto pare a rimetterci è l’Europa e l’Italia in particolare. Perché a Bruxelles va così ed è lecito pensare che ci sia un attacco al made in Italy.

    Trecento miliardi, euro più euro meno, tanto vale il mangiare all’italiana tra ciò che produciamo (140 miliardi) ed esportiamo (42 miliardi, nonostante la pandemia) e ciò che gli altri imitano (italian sounding 100 miliardi) o falsificano (60 miliardi). Ma metterci le mani sopra è complicato: troppo frazionate le aziende, troppo incidente il rapporto di un’agricoltura che esalta la biodiversità con la trasformazione (600 diversi salumi, 430 formaggi, 350 pani, 540 diverse cultivar di olive, 350 uve da vino, 40 Dop e Igp vini compresi in media per ogni regione, 5 mila ricette che alimentano la cucina più praticata, consumata e desiderata nel mondo)  infine troppo elevati gli standard di qualità; meglio eliminare dal mercato questi fastidiosi competitori. Così è partito un attacco allo stile alimentare italiano che usa armi improprie: l’ambiente, l’etica, la salute con le istituzioni internazionali che non si vergognano di cadere in contraddizione con se stesse. La prima e più clamorosa: l’Onu dichiara con l’Unesco la dieta mediterranea, di cui l’Italia detiene il primato, patrimonio dell’umanità e la stessa Onu nel prossimo autunno chiama a raduno a New York tutti i paesi per affermare che la dieta mediterranea fa male perché troppo proteica. 

Non c’è da stare allegri perché in campo ci sono gruppi multinazionali e potenze economiche consapevoli che chi è padrone della fame è padrone del mondo; una su tutte la Cina, che ha una forte preoccupazione per la sua tenuta alimentare e ha già trasformato mezza Africa nella propria fattoria. Si è spesso affermato che la prossima guerra sarebbe stata scatenata non dal petrolio, ma dall’acqua; ma già si combatte una guerra per le proteine che sta infiammando i prezzi. Soia, mais, semi oleosi hanno raggiunto prezzi mai visti prima: la farina di soia è raddoppiata in un anno, i fagioli stanno oltre i 550 euro a tonnellata. Tutti i cereali sono in tensione e il valore mondiale di questo comparto dovrebbe arrivare a 466 milioni di tonnellate con un aumento del 5,8 per cento rispetto all’anno scorso. Un segno è l’incremento abnorme dei prezzi dei piselli da proteina: stando a Markets and Markets tra 4 anni sarà un mercato da 1400 milioni di dollari, il doppio dei 745 milioni di dollari fatturati lo scorso anno.

Del pari cresce il mercato degli oli vegetali. Secondo l’indice Fao la quotazione è salita dell’8 per cento quest’anno raggiungendo il valore più alto da quasi 10 anni. Le ragioni? Questi oli servono all’industria alimentare per produrre, a esempio, le imitazioni della carne, ma sono anche i biodiesel. Torna così la lotta tra agricoltura destinata all’alimentazione (ma quale?) e quella destinata alla produzione di bioenergia. In campo ci sono la Commissione europea, l’Onu, la Fao, l’Oms. L’Europa anche per queste ragioni non riesce neppure a mettersi d’accordo sulla nuova Politica Agricola Comune (per l’Italia sono in ballo circa 50 miliardi di contributi fino al 2027). Un punto sui cui Usrula Von der Leyen non demorde è il Green Deal applicato all’agricoltura. Cardine ne è il programma Farm to Fork (dalla fattoria al piatto) che si rappresenta attraverso il Nutri-score (la famigerata etichettatura a semaforo che premia la Coca Cola Light e condanna l’olio extravergine di oliva) studiata dall’epidemiologo francese Serge Hercberg  e che è di fatto sponsorizzato dalla Nestlè, la più potente multinazionale del cibo (3000 marchi, fattura 90 miliardi) ormai decisa a diventare una healthy company. Il Nutri-score si basa su sale, grassi, zucchero contenuti negli alimenti, ma non prende in considerazione né le razioni giornaliere né la chimica nascosta negli alimenti.  A far cadere l’ultimo velo d’ipocrisia c’ha pensato il vicepresidente, capo delle relazioni Ue, della Nestlé Bart Vandewaetere. Su Tweet ha postato un video in cui invita a un brindisi “con questa nuova alternativa al latte, fatta con piselli gialli frullati del Belgio e della Francia … e Nutri-Score A (cioè massimo livello di qualità ndr). Salute!”.

Ma cosa c’è nella bevanda della Nestlé? Piselli gialli, fibre di cicoria, zucchero e olio di girasole. Sempre da Nestlé arriva in Autogrill l’hamburger vegano. Ma quali sono gli ingredienti del Sensational Garden Goumet Burger? Proteine di soia reidratate (52 per cento), acqua e proteine di soia concentrate (19,9 per cento) oli vegetali in proporzione variabile (colza, cocco), aceto di alcol, aromi, stabilizzante: metilcellulosa, concentrato di vegetali e frutta (mela, barbabietola, carota, ibisco) sale, estratto di malto d’orzo. Questo per l’Europa è il futuro alimentare, questo è il motivo della guerra delle proteine che sta per esempio mettendo in ginocchio la zootecnia e il comparto lattiero caseario italiani. Sempre l’Europa su proposta della Commissione ha dato il via libera all’uso alimentare dei vermi della farina (tenebrio molitor). Gli insetti ammessi come alimenti (su richiesta della francese Sas Eap Grups di Tolosa che detiene la Micronutris) fanno parte, scrive la Commissione di Ursula Von der Layen, della strategia “Farm to Fork per avviare l’Europa da qui al 2030 a sistemi alimentari sostenibili in cui gli insetti rappresentano una risorsa proteica a basso impatto ambientale e possono essere molto utili per la transizione green delle produzioni alimentari continentali”. Uno studio della Fao di cui è direttore generale il cinese Qu Dongyu dice: non ci sono abbastanza proteine nel mondo per tutti e la sovra-popolazione creerà un’insufficienza agricola. Alla Fao come vice direttore generale c’è Maurizio Martina, ex ministro agricolo ed ex segretario nazionale del Pd che non ha mosso un dito. Né si è chiesto come possa la Fao raccontare che in Europa bisogna mangiare insetti se il consumo di carne è in continua discesa e la popolazionepure. Commenta per Panorama Marina Donegani, nutrizionista che ha il lodevole vizio di smascherare le bufale sul cibo e ha scritto al proposito con il padre Carlo per BioMedia editore Free From Fake: “Non c’è regime alimentare migliore della dieta mediterranea e non c’è nessuna ragione né scientifica, né economica perché in Italia si debbano mangiare insetti che sono un cibo apprezzato in altre culture alimentari, ma totalmente estranei alla nostra.” Un mistero la posizione europea? Lo spiega ottimamente Luigi Scordamaglia consigliere delegato di Filiera Italia (rappresenta l’agro-alimentare di qualità): “Chiedono agli agricoltori adeguamenti al Green Deal che comportano costi molto alti. Forse hanno deciso che solo i ricchi possono mangiare bene, agli altri: insetti! Mi piacerebbe che Ursula Von der Leyen accettasse un confronto sullo studio di valutazione d’impatto del Farm to Fork.

Lo studio c’è, ma la Commissione rifiuta di farlo vedere perché c’è il fondato sospetto che da quei numeri emerga un crollo inaccettabile della produzione agricola europea a vantaggio dei paesi terzi che così esporterebbero di più in Europa producendo con standard più bassi”. Durissima è la denuncia del presidente di Federalimentare Ivano Vacondio: “Dal tentativo dell’Onu di tre anni fa al Nutri-score europeo, fino a quest’ultima critica alla dieta mediterranea sono tutti attacchi che nulla hanno a che fare con gli interessi che dichiarano di voler tutelare. Dietro la questione della salute umana e dell’ambiente si nasconde il tentativo di frenare la competitività del made in Italy alimentare. Le nostre eccellenze nel mondo hanno un successo incredibile, e non tanto per i volumi che abbiamo esportato, quanto per la capacità di ricavare una marginalità altissima.

Dietro la salute e l’ambiente, si nasconde ben altro: sono le nostre quote di mercato che fanno gola”. Siccome ormai è di tutta evidenza che sia così Matteo Salvini ha lanciato, supportato dal sottosegretario all’agricoltura Gianmarco Centinaio, una campagna che si chiama “Mangiacomeparli”. In centinaia di piazze sono stati presentati i prodotti del made in Italy e sono state raccolte firme a sostegno di un disegno di legge che viete in Italia l’uso degli insetti e difende i nostri prodotti. Anche Stefano Patuanelli, ministro agricolo pentastellato ha detto chiaramente: “Il sistema Nutri-score è inconcepibile, ingiustificato e inaccettabile.  La cruda realtà è che le esportazioni italiane coprono mercati che fanno gola ad altri e vuol essere utilizzato il sistema Nutriscore per stoppare i nostri prodotti a favore di chi invece non ha accesso a quei mercati. Per farlo si è pronti anche a colpire la dieta mediterranea, Patrimonio immateriale dell’umanità.” Però Walter Ricciardi, consigliere del ministro per la Salute Roberto Speranza già presidente dell’Istituto superiore di sanità, si è schierato apertamente per il Nutri-score affermando che il ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli fa il lobbista in favore del made in Italy. Ricciardi, resta al suo posto pagato dal Governo per parlar male dell’Italia. Come se non ci fosse già chi si esercita a sputare nel nostro piatto.   

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