“VECCHIO” LAVORO MIO… O CAMBI O NON TI CONOSCO VALANGA DI DIMISSIONI, IN CERCA DI UNA NUOVA ETICA DELL’OCCUPAZIONE
La Great Resignation, partita dagli Usa, arriva in Italia
Avevate sentenziato anche voi che dopo il Covid: “Nulla sarebbe stato come prima”? Soprattutto nel mondo del lavoro c’è un riscontro. Ovvero, in molti dopo aver passato mesi in clausura, ragionando su sé stesse e vedendo l’effetto che fa, hanno deciso di smettere di lavorare. In America ad agosto si erano dimessi quasi 4milioni e mezzo di lavoratori, in Italia, tra aprile e giugno, sono stati 484mila (85% in più che nel 2020) quelli che hanno detto basta con il vecchio lavoro. Basta a turni massacranti per pochi dollari o euro, basta a competitività e stress. La “flessibilità” che ha avuto grande fama nell’era pre-epidemia – molta disponibilità in cambio di poche certezze su salari, ferie, stabilità, protezioni sociali – ha dovuto fare i conti con i lockdown e ora si vedono i risultati. In America la chiamano la Great Resignation. Qui cominciamo ad accorgercene adesso… ma le lamentele degli operatori sono dirette a dar la colpa al reddito di cittadinanza
Nonostante la pandemia negli Usa abbia spazzato via 20 milioni di posti di lavoro, anche 900 mila persone che lavoravano per ristoranti, bar e alberghi, 720 mila nel commercio, 534 mila nella sanità, 706 mila nei servizi professionali hanno lasciato di propria volontà il posto di lavoro. E adesso le aziende sono alla disperata ricerca di personale. Sono 10,4 milioni le offerte di lavoro rimaste appese senza risposta nella bacheca degli uffici di collocamento.
Le cause? Sono ancora in fase di comprensione, ma gli esperti spiegano che in molti si sono accorti che la gran parte dei magri stipendi se ne andavano in carburante o per i trasporti pubblici, nei caffè alla macchinetta, nel pasto a mensa o al bar… che per lavorare bisogna rifare spesso il guardaroba che poi si rovina lavorando, che si fa la spesa di fretta senza badare troppo all’economicità e alla qualità di quello che si compra. E tanti hanno riscoperto i rapporti umani in famiglia o nella loro comunità, o hanno trasformato i propri hobby in un mestiere da vendere via Internet… . In poche parole si sarebbero “rassegnati” a una vita diversa, chi a vivere con meno, ma almeno senza lavorare, chi invece a cercare di meglio, in termini di valorizzazione del proprio livello professionale e di uno stipendio migliore. Stessa cosa, in parte, è accaduta in Italia. . Qui in molti durante la clausura hanno trovato un modo di organizzare meglio il lavoro da casa, evitando di mangiare cibi precotti, ma imparando a far la spesa e a cucinare e a far la lavatrice e lavastoviglie non nell’unico giorno di riposo dedicato alle pulizie, ma spalmando i compiti durante la settimana.
Un miglioramento della qualità della vita che gli ha permesso di ricominciare a leggere e coltivare hobby. Richiamati al vecchio orario, al vecchio turno massacrante in ufficio hanno detto basta. Molti avevano già un’altra opzione, tanti si sono licenziati e messi in cerca di un’occupazione più vicina ai loro bisogni. E non va dimenticato il fatto che gli stipendi italiani rispetto al resto d’Europa sono quasi due terzi più bassi, se governo e imprenditori facessero in modo di pagare di più il lavoro tutta questa “resignation” non ci sarebbe… Ci vorrà tempo per capire a cosa porta questo, alcuni esperti sottolineano il rischio di stagflazione, con la ripresa – tanto cercata – che si arresta per mancanza di braccia che la sostengano mentre i prezzi salgono rapidamente per le strozzature delle catene di distribuzione e dello stesso mercato del lavoro. E’ uno scenario possibile nel breve termine, ma sicuramente se il progetto innestato sulla pandemia era quello accarezzato dallo storico presidente francese Mitterrand di abbassare il livello di vita occidentale e abituare “ad avere meno” gente che viveva troppo al di sopra delle proprie possibilità, sembra proprio che la reazione sia opposta e contraria: si vivrà con meno, ma senza lavorare né comprare in nome del capitalismo.
