PIÙ CHE IL RECOVERY SERVE UN RICOVERO

Facciamo il punto sul mitizzato Next Genration Ue: i fondi non sono l’eldorado narrato. Dombrovskis bacchetta Gualtieri e mette nell’angolo Gentiloni; l’Italia resta la cenerentola del continente.

Giuseppe Conte ha detto che gli servono quattordici giorni di tempo per verificare se riesce ad allargare la maggioranza. Allo stato delle cose stiamo perdendo il 10,7% del Pil a fine anno. Il che significa che al giorno perdiamo 490 milioni di ricchezza. La pausa di riflessione di Giuseppe Conte rischia di costarci 6,8 miliardi. Cioè un quarto dello scostamento di bilancio di ulteriori 32 miliardi che porta l’ammontare del debito aggiuntivo accumulato in un anno causa virus cinese a 140 miliardi (un incremento di 7,7 punti nel rapporto debito/pil) che in queste ore il (forse) Governo giallorosso si appresta a chiedere al Parlamento. La balbuzie politica del primo ministro ha dunque un prezzo immediatamente misurabile, ma ne ha uno decuplicato se proiettato sulle prospettive. A fare questo conto di medio periodo è la commissione europea. Appena ieri i Vladis Dombrovskis – il vicepresidente lettone della Commissione Europea che Ursula Von der Leyen ha incaricato del tutoraggio di Paolo Gentiloni (Pd) che si illude di essere commissario agli affari economici ed è invece solo un port parole delle decisioni della Commissione – ha fatto sapere che l’Ue è preoccupata per le lungaggini italiane sul Recovery Fund o Next generation Ue che dir si voglia affermando “Il lavoro sul Recovery Plan italiano è in corso e spero che l’instabilità politica in Italia non metta a repentaglio questo lavoro perché l’Italia è il maggiore beneficiario e bisogna assicurarsi che i fondi arrivino, sono molto importanti per la ripresa in Italia”.

Ora non è vero che l’Italia è il maggior beneficiario del RF pur sotto rigidissime condizioni che minano la convenienza di questa fonte di finanziamento e lo vedremo tra un attimo, ma è decisivo che Dombrovskis abbia parlato in sede di Ecofin, cioè davanti a tutti i ministri economici dell’Unione sbeffeggiando e pungolando al contempo il nostro Roberto Gualtieri (Pd) che di economia sa il giusto, ma è sempre pronto a soddisfare i voleri di Bruxelles. Il segnale che arriva – sia per i modi che per la sostanza – è pessimo; vuol dire che l’Unione sta perdendo la pazienza e che il tanto richiamato europeismo italiano rivendicato da Conte (che però nella sua prima edizione era convintamente sovranista) agitato dal Pdi e subito da pentastellati non serve a nulla. Anzi, potrebbe essere che chi di spread ha ferito (il Pd contro Berlusconi) di spread perisca. Insomma da Bruxelles fanno sapere che il tempo sta scadendo e non già rispetto all’avvicinarsi in gran fretta dell’ ultima data utile per la presentazione dei piani fissata al 30 aprile quanto perché la Commissione potrebbe cominciare a rivedere il riparto dei fondi. Come si sa la propaganda europeista in Italia non ha minimamente consentito di capire quali sono i veri contorni del Recovery. Li mettiamo qui in chiaro. Per l’Italia sono previsti 81,4 miliardi di finanziamenti a fondo perduto e 127,4 miliardi di finanziamenti in prestito. Questi soldi però vengono erogati in sei anni (facendo un conto sono meno di 35 miliardi all’anno dunque pari allo scostamento di bilancio che si sta discutendo ora in Parlamento) e soprattutto non sono gratis, perché in Europa non c’è mai un pasto gratis. Una prima parte di quattrini l’Europa conta di recuperarli sulle imprese: tra plastica tax, aumento della quota di Iva destinata l’Ue, tasse ambientali e balzelli vari l’Europa si aspetta circa 22 miliardi all’anno. Per quel che riguarda l’Italia visto che noi rappresentiamo circa il 14% del Pil dovremmo versare a Bruxelles un po’ più di 3 miliardi all’anno sottratti alle imprese a cui si aggiunge un aumento di circa il 3 per cento dell’Imposta sulle società – la proposta parla di quelle più grosse: circa 70 mila tutta Europa – e un gettito aggiuntivo per Iva comunitaria che per noi vale altri 3,5 miliardi. Più o meno dovremo dare in più a Bruxelles circa 8 miliardi all’anno sottratti alla dinamica economica poiché si tratta di imposizione fiscale aggiuntiva. Ma non basta perché l’Italia sarà chiamata a contribuire maggiormente al bilancio comunitario il che significa che in 7 anni verseremo a Bruxelles 107 miliardi. Ora facciamo i conti. Dal Recovery ci dovrebbero arrivare tra fondo perduto e prestiti 35 miliardi all’anno, ma tra tasse e contributo al bilancio dell’Unione noi ne versiamo circa 20 all’anno. E’ vero che ai fondi del Recovery vanno aggiunti i contributi agricoli 34 miliardi in sette anni tra pagamenti diretti e sviluppo rurale con una riduzione del 15% rispetto al precedente budget e i 37 miliardi di fondi strutturali e di coesione. A conti fatti sono circa ulteriori 11 miliardi l’anno. Ma tirando tutte le somme l’Italia resta sia per per poco contribuente netto dell’Europa. E allora tutta la festa per il Recovery? Per dirla con una vecchia gloria del nostro canto Sergio Endrigo: “La festa appena cominciata è già finita”. Le ragioni sono molteplici, ma tre si impongono in queste ore.

La prima è che se non ci sbrighiamo i soldi del RF non li vediamo per un duplice ordine di motivi. Il primo lo ha esplicitato Dombrovskis facendo capire che Gentiloni non conta nulla e che la Commissione non si fida di Conte (dunque il tanto paventato ostracismo all’Italia se va al potere la Destra pare del tutto campato per aria) pertanto guarderà con particolare occhiuta attenzione i progetti che arrivano dall’Italia. Il secondo motivo è che l’Ue non consentirà di finanziare spesa corrente con i fondi del Next Generation Ue e invece il nostro Governo ha fatto un mix sbilanciato sulla spesa corrente. Il dato più inquietante è che i fondi del RF non vengono accantonati: o si spendono o si perdono. Non solo, nelle parole del vicepresidente della Commissione si legge chiara una minaccia: attenti a Roma che se andate avanti così vi rimettiamo le regole di bilancio e voi avete i conti fuori controllo. L’invocazione del Mes che i più convinti “europeisti” nostrani è proprio funzionale all’accettazione preventiva del vincolo esterno. A questo si aggiunge che i fondi Ue vengono comunque erogati a stadi avanzamento dei progetti e dunque sarebbe necessario implementare acanto alla progettazione di spesa anche quella di riforma normativa di cui non c’è traccia. E infatti c’è già chi approfitta del nostro immobilismo: la Spagna che si vede assegnare contributi a fondo perduto in misura assoluta superiore ai nostri. Con gli ultimi ritocchi fatti due giorni fa la Commissione ha portato sotto varie forme i finanziamenti a fondo perduto della Spagna a 88,8 miliardi di euro. Ora la Spagna è il maggior beneficiario di queste somme. Perché è accaduto? Con tutta probabilità perché la Spagna contando su di un’industria automobilistica totalmente dipendente dalla Germania, ma che produce grossi volumi viene privilegiata nella distribuzione di fondi destinati alla conversione green della mobilità. Con ciò favorendo anche la Germania che comunque deve riceve benefici da qualsiasi stanziamento europeo.

E lo stesso vale per la Francia che con la formazione di Stellantis – la finta fusione poiché si tratta di una incorporazione di FCA in PSA – si piglia anche i contributi che se l’industria automobilistica fosse rimasta in Italia ci sarebbero toccati in aggiunta. E qui è appena il caso di richiamare che mentre i ristori vari (mancano ancora 180 decreti attuativi delle diverse forme di sostegno varate ma non attuate dal Governo per risarcire o attenuare i danni della pandemia) ammontano ad appena il 7% di quanto l’economia e dunque le imprese e le partite Iva hanno perduto, il primo provvedimento che il Governo prese fu di affidare a FCA (l’ex Fiat) una garanzia per 6,6 miliardi finalizzata all’ottenimento di un prestito da San Paolo Intesa. Ebbene ottenuto quel prestito FCA si è fusa con i francesi di PSA e dalla fusione i soci di Exor, la finanziaria di famiglia della galassia Agnelli che va dagli Elkan ai Rattazzi, hanno ricevuto un dividendo straordinario di 1,84 euro per azione per un ammontare complessivo di 2,9 miliardi. Forse non c’è da stupirsi se molti giornali non hanno giudizi troppo severi sul Governo Conte, né se c’’è un eccesso di enfasi nel raccontare i (presunti) vantaggi che ci derivano dall’Europa. E’ tempo anche di sfatare anche la fake news secondo la quale l’Italia è il paese che prende più soldi tutti nel programma Recovery. Noi siamo solo il paese che riceve il maggior numero di soldi in prestito, cioè che continua ad indebitarsi. Perché se si guarda alla classifica di aiuti a fondo perduto in rapporto al Pil la graduatoria è questa: la Grecia ottiene il 9 per cento il Portogallo il 5,4 esattamente come Slovacchia e Lettonia, la Lituania prende il 3,6 e la Spagna il 3,4, l’Italia solo l’1,9 per cento rispetto al Pil 2019. Noi stiamo inseguendo un’idea d’Europa che non c’è. Perché quando c’è da spartirsi gli aiuti veri, quelli che servono a far ripartire l’economia noi siamo sempre sullo strapuntino. Un esempio? La corsa ai vaccini. La Von der Leyen ha secretato i contratti con Pfizer Biontec. Sappiamo quante dosi ha comprato l’Ue, ma non sappiamo a quali condizioni né di prezzo né di consegna. Sappiamo anche che l’Italia nel suo anelito fideistico verso l’Europa non si è lasciata le mani libere per eventualmente comprare sul mercato il siero. Ebbene cosa sta capitando? Che gli Usa (del tanto adorato Joe Biden) hanno chiesto e ottenuto da Pfizer un aumento di forniture, che Israele che paga il vaccino 4 volte quello che viene pagato dall’Ue ha una copertura totale del suo fabbisogno e che invece all’Europa il vaccino viene dato col contagocce. La Germania che lo sa se l’è comprato per conto suo, l’Ungheria sta andando in Cina a comprare altro siero, l’Inghilterra che è uscita dall’Unione è piena di vaccino e non solo il Biontec. E l’Italia? L’Italia è al palo. Ma stavolta non è questione solo di sanità: stavolta è questione di economia. Perché il primo paese che si vaccina – lo dimostra la Cina che ha provocato la pandemia e oggi ne gode i benefici senza che nessuno la metta in discussione con Giuseppe Conte che addirittura esalta Xi-Jinping come il preferibile tra i partner – ha un vantaggio economico competitivo assoluto. E ovviamente tra questi paesi noi non ci siamo. Perché ce lo impone l’Europa.

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