CRISI: SI GIOCA SUL FILO

Tessere la tela è impresa ardua. I fili sono fragili, alcuni spezzati. Come può l’attuale guardagisilli in buona fede presentare il 27 gennaio la sua relazione sulla giustizia (così come l’ha pensata) e pensare che sarà approvata? Allo stato, pare difficile se non impossibile che Renato Brunetta, il politico di Forza Italia aperto al diologo, voterà Bonafede, considerata la diversa ( a dir poco) visione della giustizia. La senatrice Lonardo, ora del cerchio magico-moderato dei responsabili, lo ha fatto trapelare ieri attraverso suo marito Clemente Mastella. “Mia moglie è molto perplessa quanto al voto sulla relazione Bonafede. Potrebbe votare no? Non lo so, ma a lei non piace l’idea che Bonafede ha fatto della giustizia, il giustizialismo fino alle estreme conseguenze”.
Sull’Udc è piovuto un fulmine proveniente dalla Calabria. Il capo del partito Cesa è indagato e si è dimesso dichiarandosi estraneo ai fatti. Scattano i nervi dei grillini puristi. Di Battista dichiara che con i responsabili sì può costruire ma non se indagati.

Titubanze degli aperturisti responsabili a parte, la giustizia diventa una mina ad orologeria per il governo dopo la defezione di Italia Viva. Se per il giorno 27 la maggioranza non sarà messa in sicurezza e mancheranno i voti necessari, allora la coalizione di governo stavolta rischia davvero di andare sotto e la caduta potrebbe essere provocata, strano ma vero, dall’asse Renzi- Salvini. Il pokerista senatore Matteo di Italia Viva ha tutta l’idea di far votare i suoi parlamentari insieme a quelli dell’altro senatore Matteo, il Salvini che agita il voto, e insieme a quelli di Forza Italia e di Giorgia Meloni. Un film già visto nell’inverno scorso quando i renziani votarono più volte con il centrodestra in commissione con l’obiettivo di affossare la riforma della prescrizione di Bonafede. Ma ora quest’ultima mano di poker potrebbe essere decisiva, segnare la disfatta. Potrebbe venire giù tutto. I protagonisti e gli attori in campo ne sono tutti consapevoli, perciò si lavora fino al 27 senza sosta a trattative e sante alleanze. Conte è assediato e il suo agognato ter gli pare un miraggio. Per tenersi in sella e isolare Renzi cerca di giocarsi la carta del pd, partito che, seppur spavaldamete con le voci di Orlando e il plenipotenziario Bettini dice di non temere il voto, sta invece colloquiando con i senatori renziani che a settembre del 2019 uscirono dal gruppo dem per seguire l’ex segretario in Italia viva. Mentre, i senatori e deputati di Italia Viva, a dimostrazione della buonafede (sempre la stessa sopra citata) in una diligente nota congiunta fingono di auspicare una “soluzione politica che abbia il respiro della legislatura”. Ma che cosa sta accadendo realmente? Si sta scivolando piano piano verso il voto? Ad oggi tutto è possibile, perché i fili della tela sono fragili e si stanno sfilando. Sembrano due le opzioni: o governo istituzionale, o di “pandemia nazionale” come ha ironizzato qualcuno, o se c’è una maggioranza precaria e raccogliticcia meglio andare al voto.

A districare la matassa lavora un grande tessitore che potrebbe essere, chissà, il salvatore di Conte. E’ Bruno Tabacci, leader della componente di Centro democratico, che ieri ha visto Luigi Di Maio e dopo l’incontro ha indicato la rotta: non un rimpasticchio ma un governo nuovo, un vero e proprio esecutivo anche con lo stesso premier perché Conte è l’unico punto di equilibrio di questa legislatura, ha moderatamente argomentato.
Il moderato Tabacci prova a tutti i costi a moderare la partita con l’idea di costruire un gruppo parlamentare solido:“La possibilità di rafforzare la maggioranza c’è e per concludere la crisi è necessario aprire a un ventaglio di forze più ampio. Renzi al Senato ha fatto un discorso di rottura, ma credo che in Iv ci siano posizioni più concilianti. E poi c’è l’area dei liberal-democratici di Forza Italia”. Fin qui quanto emerge dal vis a vis dell’ora di pranzo di ieri tra il centrista Tabacci e il grillino Di Maio. Loro insieme che tessono la tela. E chi ci avrebbe mai scommesso un euro negli anni ruggenti del grillismo? Ma tant’è.
Di Maio ora diventa moderato, ma come la metterà con Di Battista, il quale ha precisamente dichiarato che con Renzi mai e poi mai, piuttosto meglio Ciampolillo e la Rossi. Apriti cielo. L’operazione responsabili, come la chiamano, si gioca sul filo tra costruttori-salvatori-moderati in una serie di veti incrociati che provare a ricomporre è roba da matti e come la metti metti i conti non tornano con il Conte assediato in un tutti contro tutti.
E poi ci sarebbe un’altra idea: l’ipotesi delle dimissioni pilotate di Conte per disinnescarlo. O sennò sempre Tabacci ragiona, se la quarta gamba non tiene e tutto questo non potesse concretizzarsi, è meglio il voto. A proposito di moderati doc, ecco il parere di Casini. Emblema della scuola Dc, trentasette anni in politica con “la balena bianca” di montanelliana memoria, Casini boccia la seconda opzione, e cioè il voto. “Ma non scherziamo, parliamo del nulla, si sa che le elezioni vengono sempre agitate per congiunture politiche. Due le strade percorribili: o raccogliere i cocci ricomponendo con Renzi o il Capo dello Stao interpella una personalità intorno alla quale raccogliere una maggioranza per comporre un governo istituzionale”.

Un bel dilemma per il Presidente Mattarella se in Parlamento mancano i numeri. Intanto, mentre la pandemia se ne infischia delle trame e il vaccino scarseggia, ecco che arrriva la frustata di Moody’s: “Usare bene il Recovery o l’Italia è a rischio rating”. Perciò Conte ieri si è affrettato a convocare i sindacati. “Un confronto intenso, ce lo chiede l’Europa”, ecco la frase magica. Ma la magia finisce qui visto che commissione Ue e Bce in primis avevano già bacchettato sul fatto che il Recovery non può attendere la fine della crisi di governo. Non c’è tempo, bisogna fare presto.
Ma la tela è e resta precaria, fragile. Pier Luigi Bersani, unico nelle sue metafore, già settimane fa preconizzava: “Se tiri giù un filo viene giù il maglione”.

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