LO SFASCIO DELLA GIUSTIZIA VALE UN PUNTO DI PIL MA BONAFEDE TIENE IL GOVERNO IN OSTAGGIO

La vera posta in gioco al Senato è l’economia del Paese eppure tutti pensano solo a salvare il ministro

Silenzio, entra la Corte. E la Corte potrebbero essere gli italiani chiamati a pronunciare la loro sentenza con la scheda elettorale. I tempi sono sempre più stretti e il gran lavoro di corridoio, di sacrestia, di sotterfugio e di baratto che si sta facendo in queste ore per trovare una via d’uscita ha uno sbarramento: giovedì 28 gennaio ammesso che il Conte Due ci arrivi ancora in vita. Va in aula al Senato la relazione del ministro di Grazia e Giustizia, l’avvocato Alfonso Bonafede. Attorno a lui si stanno addensando le residue speranze di rianimazione per il Governo e le spinte più forti per disarcionarlo. Ma vi sono due aspetti che molti commentatori, alcuni con il vizio innocente del voyerismo parlamentare tant’è che animano il chiacchiericcio con i retroscena incrementando la dose d’inconcludenza dei nostri politicanti, non hanno considerato: il primo lo specialissimo legame che c’è tra Bonafede e Conte, il secondo la drammatica incidenza che il caos Giustizia ha sull’economia. Partiamo dal primo per capire che nonostante ora dai pentastellati si levino voci disposte a sacrificare l’ex Dj Fofò pur di non dover tornare a chiedere il sussidio di disoccupazione sarà difficile che il presidente del Consiglio lo possa sacrificare. Ma tenere duro su Bonafede – che già si è salvato per il rotto della cuffia da due mozioni di sfiducia nel maggio scorso al tempo del mai chiarito contrasto con il magistrato icona dell’antimafia Nino Di Matteo per la mancata nomina di quest’ultimo al Dap: allora Renzi votò col Governo per carità di patria, ma col voltastomaco – può essere un azzardo definitivo.

Per questo Giuseppe Conte da Volturara Apula ha varato la scialuppa di salvataggio mettendosi in proprio con una sua lista. A dirgli di mollare Dj Fofò è anche una parte del Pd che non ha mai digerito la prescrizione giacobina di Bonafede ed è sicuro che metà del governo è in sala Travaglio sulla giustizia. Lo schieramento contro Bonafede è ampissimo: tutto il Centrodestra, i renziani, ma anche molti dei presunti responsabili compresi lady Mastella e perfino Pierferdinando Casini. L’unico che – dato il simbolo che rappresenta – dovrebbe non avere dubbi su affossare Bonafede è invece il pensoso socialista Riccardo Nencini che di vecchia scuola sa che più allunghi la trattiva più porta a casa. Ben inteso è una questione di principio! Nel Pd c’è tutta l’ala ex democristiana in subbuglio e Dario Franceschini fatica molto a tenere i suoi. Ma Giuseppe Conte non può liberarsi della zavorra di DJ Fofò. Perché è Alfonso Bonafede che gli ha aperto le porte del palazzo, è il piccolo avvocato fiorentino ritrovatosi ministro di Giustizia a sua insaputa ad aver promosso a presidente del Consiglio l’ordinario di diritto Civile dell’Università di Firenze Giuseppe Conte spedito a palazzo Chigi con un affidavit del cardinale Pietro Parolin (Segretario di Stato Vaticano ora un po’ in ombra) e una ricca raccomandazione dello studio dell’avvocatissimo Guido Alpa. Il fatto è che Bonafede sa molte cose di Giuseppe Conte, forse tante quanti i servizi segreti che il presidente del Consiglio ha mollato a malincuore e sarebbe interessante capire perché appena ha lasciato quella delega la ricerca dei “responsabili” si è fatta più affannosa. Giuseppe Conte ha bisogno adesso e ne avrà bisogno domani di Dj Fofò e non solo per farsi allietare le serate perché è Bonafede il suo ufficiale di collegamento con il milieu dei sostenitori celati e potenti del presidente del Consiglio. Non è affatto un caso peraltro che Matteo Renzi che a Firenze conta qualcosa ce l’abbia tanto con Bonafede. Forse DJ Fofò è andato ad arare giardinetti troppo vicini a Rignano? Ah saperlo… Resta il fatto che il legame tra Alfonso Bonafede e Giuseppe Conte visto dai palazzi romani sembra tanto un capitolo del capolavoro di Pier de Laclos: le liaison dangereuses. Tant’è che l’accorto Bruno Tabacci, uno dei più assidui “costruttori” e uso a frequentare le cattedrali, di fronte al rebus Bonafede si è tirato indietro come se sul frontespizio della relazione che il ministro di Grazia e Giustizia si appresta a fare al Parlamento fosse scritto: hinc sunt leones! Del resto lo stesso Pierferdinando Casini ha lasciato capire che se si varcano le colonne d’Ercole del voto sulla giustizia il Governo s’avvia vero rotte inesplorate. Giuseppe Conte ha al massimo tempo fino a martedì pomeriggio per decidere se sfidare il Parlamento su Bonafede o salire da Mattarella per tentare di ricevere il terzo incarico.

Cosa che lo proietterebbe immediatamente nel Guinnes dei primati. Potrebbe esserci anche una subordinata: che qualcuno convincesse Bonafede a dimettersi prima del dibattito parlamentare lasciando libera una casellona per i responsabili e consentendo a Matteo Renzi di astenersi ancora. Ma DJ Fofò di tornare a fare istanze ingiuntive o a patrocinare un ristoro danni davanti al giudice di pace pare non averne intenzione. Ma chi invece avrebbe titolo per fare un’ingiunzione ad Alfonso Bonafede e a Giuseppe Conte è il sistema economico. E’ questa la seconda emergenza che nel dibattito sul ministro della Giustizia non viene in queste ore annotata. Alfonso Bonafede con la sua mancata riforma sta costando al Paese un punto di Pil – più o meno 18 miliardi – e la mancata velocizzazione della macchina giudiziaria, la mancanza di certezza del diritto, la farraginosità del sistema giudiziario, è uno dei più forti argomenti che la Commissione Europea aspetta di utilizzare per attenuare la portata dei finanziamenti previsti nel Next Generation Ue per l’Italia. Quella della Giustizia per metterla al passo degli altri paesi europei è la riforma che Bruxelles chiede con più urgenza e maggior forza all’Italia. Ma Bonafede ha una sorta di immunità da sopravvivenza del Governo. Ma al tempo stesso Alfonso Bonafede – nel suo ruolo di ministro della Giustizia – sta determinando, per dirla nel linguaggio dei “civilisti”, un lucro cessante e un danno emergente. A sancirlo sono le cifre. L’Italia – limitandoci al diritto civile e a quello amministrativo – è il paese europeo con la giustizia più lenta. In Italia servono circa 514 giorni per il primo grado, mille per il secondo e se si arriva in Cassazione se ne aggiungono altri 1442. Totale: un processo civile dura in media 8 anni. In Francia la metà, in Germania due vote meno. Per un processo amministrativo bisogna mettere in conto 7 anni, sei per uno penale. Siamo secondo l’Ocse il 122 esimo paese su 195 per incertezza del diritto. Ovviamente abbiamo anche un bell’arretrato. Le cause civili pendenti sono quasi 3 milioni, quelle amministrative poco meno di 1,8 milioni, i processi penali pendenti sono un milione e mezzo. Perché? La serie dei motivi è infinita, un dato rilevante è che da 15 anni non viene bandito alcun concorso per il personale della Giustizia.

Ma ecco che è arrivato Dj Fofò e dopo avere inventato la prescrizione al contrario ha deciso che l’arretrato giudiziario sarà smaltito dai precari. Lo ha scritto nel suo capitolo del Recovery Fund il nostro caro ministro della Giustizia che per rendere efficiente la giustizia accanto ai giudici ordinari devono lavorare “figure di supporto all’attività giurisdizionale”. Chi sono? Giudici in pensione – e andrebbe già bene se non fosse che i magistrati lasciano l’incarico a 70 anni – tirocinanti, neolaureati, avvocati che hanno smesso la toga. Sono quelle figure che già oggi esistono nel nostro ordinamento: i Got, i viceprocuratori onorari, i giudici di pace onorari. Sono quelle figure che fino al 22 gennaio erano in sciopero – come si legge nei documenti della Consulta della Magistratura Onoraria – perché lo Stato non le paga. Tutti i magistrati onorari lavorano a cottimo. Pigliano un tanto a sentenza (e già questo la dice lunga sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge) ma siccome con il Covid i tribunali sono rimasti chiusi e loro non hanno visto un soldo: solo 600 euro di ristori per marzo e aprile scorsi. Chi ha dovuto tenere udienza perché aveva imputati detenuti se ha riscosso la parcella di una sentenza si è visto decurtare il ristoro. In più non hanno né ferie né diritto alla malattia e questo nonostante la Corte di Giustizia Europea abbia detto che dal punto di vista retributivo e previdenziale il lavoro dei magistrati ordinari va pagato come quello degli altri magistrati.

Ma Dj Fefè si è fatto bello anche del risparmio di 600 milioni di euro che ha ottenuto non pagando i giudici onorari e comunque ha altro a cui pensare. A lui non viene il dubbio che i cittadini non si sentano garantiti da magistrati che sono economicamente ricattabili, da giudici che devono per forza continuare a fare l’avvocato per campare. L’assurdo della giustizia italiana è che oggi si può esser giudicati da un Got che ha il suo studio di avvocato a un chilometro dal tribunale dove viene discussa a causa, basta che sia in un’altra provincia. E i Got possono decidere in cause che hanno come massimale nel caso di risarcimento danni fino a cento mila euro. Non proprio una bagatella! Ebbene nel Recovery Fund di Alfonso Bonafede i pilastri della Giustizia Italiana sono questi: giudici precari (il loro incarico può purare al massimo otto anni: 4 più 4), pubblici ministeri onorari. Ma evidentemente né dj Fefé né il suo professore di diritto civile Giuseppe Conte si rendono conto della mostruosità giuridica perché sperano che il Parlamento confermi il ministro e con lui il Governo. Della giustizia in sé non gliele importa molto. Forse neppure sanno che tutte le teorie liberali, quelle che Conte ha richiamato evidentemente non conoscendole nella sua lectio non magistralis al Senato, ritengono che solo l’amministrazione imparziale della giustizia possa giustificare l’esistenza dello Stato. Certo Giuseppe Conte per formazione preferisce la Sacra Rota e della giustizia liberale non sa che farsene! Eppure dovrebbero leggere il rapporto di Banca d’Italia che ammonisce: uno dei limiti all’attrazione d’ investimenti è proprio il sistema giudiziario. Hanno stimato il costo: un punto di Pil. Un signore sempre molto invocato dalle parti della maggioranza Carlo Cottarelli si è spinto un po’ più in là. ”Dobbiamo mettercelo in testa – ha mandato a dire al Governo – per chi investe, i tempi della giustizia sono fondamentali. La giustizia è il metro di misura dell’investimento e non lo dice Carlo Cottarelli, ma lo dicono gli imprenditori. Le imprese non chiedono incentivi, che tra l’altro costano soldi dei contribuenti, le imprese vogliono una macchina statale che funzioni. Giustizia inclusa.”. Ma giovedì Conte per il tramite di Dj Fefé in Senato non va a chiedere giustizia, spera solo di evitare la condanna capitale per il suo governo.

 

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