SPUNTA UN RE DI MAIO PER UN GOVERNO PONTE CHE TAGLIA FUORI CONTE

Fate conto che sia il 9 maggio del 1946. Si parva licet. La storia a volte ci accompagna lungo un inaspettato tornante e questo è uno di quelli, anche se in tono minore, che possono cambiare il corso delle cose. Anche oggi abbiamo come allora un giovane, forse volenteroso, certo non all’altezza della sfida del tempo. Volendo, oggi come allora, il Paese è fiaccato da una guerra: erano bombe, oggi sono infezioni. Ha scarsi mezzi: allora erano le razioni, oggi sono i ristori. Ha una linea di comando spezzata: ieri l’armistizio, oggi le consultazioni che potrebbero mutarsi in convulsioni. Ha lo spettro della fame allora come oggi, ha assenza di prospettiva. Allora si risolse con il Re di Maggio che accompagnò il paese al consolidarsi del regime repubblicano, oggi potrebbe risolversi tutto con un re Di Maio che accompagna l’Italia al consolidamento di un diverso orizzonte politico, cambiando inquilino del Colle.

Quel Quirinale da cui il Re di Maggio fuggì trascinato dalla famiglia, quel Quirinale dove il Re Di Maio potrebbe entrare per pigliarsi l’incarico.  Non sembri solo una battuta; diciamo che è una specie di premonizione come se guardando nella palla dei giochi di palazzo si vedesse un futuro che spiazza. Fuor di metafora: c’è lo spazio – ma forse manca il tempo – per far nascere un governo a guida Luigi Di Maio che faccia da ponte, ma senza Conte, fino al semestre bianco e costituisca in questo periodo un’alleanza, o sarebbe meglio dire una sorta di patto, per l’elezione del nuovo presidente dalla Repubblica. Le premesse ci sono, anche solide, le convenienze abbondano.

Esiste un prologo a questa possibile operazione. E’ un’intervista – basta andare a rileggerla – che il ministro degli Esteri ha rilasciato il 17 novembre a Repubblica. In quella intervista Luigi Di Maio faceva cadere il veto al dialogo con Berlusconi e per i Cinque Stelle lo “psiconano” come lo chiama con reverenza (si fa per dire) il comico-politico Beppe Grillo non è più un tabù. Ebbene proviamo a ragionare. I Cinque Stelle sono l’armata di Brancaleone da Volturara Appula che si predispone o a tornare a palazzo Chigi consolidandosi o andare al voto con la sua Armata.

Ma non è detto che tutti i 5 Stelle trovino questo commendevole, né che tutti trovino posto sulla scialuppa di Conte. Luigi Di Maio un tempo capo indiscusso del Movimento non ha mai gradito che i suoi diventassero pd-stellati, è sempre stato freddo alle profferte – per la verità un po’ da boa constrictor – che il Pd fa agli ex-apriscatole proponendo un’alleanza sistemica. Anzi più volte Luigi Di Maio ha fatto mostra di avere una qualche nostalgia del bel tempo che fu. Si noterà che quando Matteo Salvini prese l’insolazione al Papeete il tentativo di ricucitura di un governo giallo-verde, ma senza Conte fu fatto proprio indirizzando attenzioni sull’attuale ministro degli Esteri. Quale sarebbe la convenienza di Luigi Di Maio a diventare Re? Beh otterrebbe tre plusvalenze non trascurabili: compattare una sua base dentro un Movimento Cinque Stelle (dove affiorano qua e là insofferenze verso il Pd e verso lo stesso Conte) in via di atomizzazione eliminando la concorrenza di Conte, si garantirebbe una sua base elettorale, entrerebbe da protagonista nei giochi per l’elezione del successore di Mattarella.

Emblematico il suo tweet in cui dice: “E’ il momento della verità: in queste ore capiremo chi difende e ama la nazione  e chi invece pensa solo al proprio tornaconto”. Quasi un trillo da Re e molto somigliante all’oracolo della Sibilla: ibis redibis non morieris in bello. Basta mettere una virgola in un punto diverso per cambiare il senso. Perché amare la nazione può essere anche superare Conte e pacificare gli animi e il tornaconto può essere anche quello di Brancaleone da Volturara Appula.

Ma chi dovrebbe lavorare a incoronare il Re Di Maio per fare un governo ponte che escluda Conte? Tutti coloro i quali hanno nell’agone politico interesse a limitare o a far perdere Conte. Cioè praticamente tutti tranne Conte, parte del Pd, Leu e un po’ di attaché del Vaticano e dell’europeismo di convenienza. Allo schema di questo governo potrebbe trovare utile lavorare Silvio Berlusconi che peraltro proprio in queste ore, assumendo quel profilo da uomo di Stato che ultimamente gli calza a pennello come un doppio petto di Caraceni, continua a lanciare appelli per un governo di “salute pubblica” sdoganando una sua possibile interlocuzione con i 5 Stelle.

Ponendo Forza Italia al servizio di un’ipotesi Di Maio, il Cavaliere avrebbe tre opportunità (è la famosa regola del tre: il numero perfetto!) la prima di eliminare dal gioco sia il Pd che lo stesso Conte, la seconda di rioccupare stabilmente il centro cercando di vincolare blandendolo Matteo Renzi, la terza di far approdare la Lega sul terreno delle antiche alleanze emarginando in parte Giorgia Meloni e potendo giocarsi un ruolo europeo sufficiente a fargli coltivare, con qualche speranza, ambizioni quirinalizie. Ma a questo Re Di Maio grande contributo potrebbe portarlo anche la Lega, se non tutta almeno quella parte dialogante incarnata da Giorgetti che sa benissimo che la strada di palazzo Chigi alla Lega è preclusa fin quando non sia il voto popolare ad imporlo, ma anche allora potrebbero scattare le prammatiche sanzioni dell’Europa. Giancarlo Giorgetti del resto questo suo schema di ragionamento lo ha esplicitato incoraggiando Matteo Salvini a non avere il complesso del Pci. Tradotto significa che la Lega può farsi nemici a destra, che può assumere un profilo dialogante e istituzionale. Anche nel caso della Lega la prospettiva Re Di Maio avrebbe tre vantaggi. Il primo isolare del tutto Conte e farlo fuori, il secondo riaggregare con Forza Italia un nucleo governativo di centrodestra con vista sul Quirinale e possibile neutralità europea, il terzo togliere iniziativa a Giorgia Meloni che a quel punto sarebbe costretta a scegliere: o stare nella partita o fare un’opposizione dura, ma isolata. Oltretutto Matteo Salvini potrebbe ritrovare un “vecchio” amico come Gigino Di Maio col quale ha passato anche momenti felici. In questo schema anche Matteo Renzi avrebbe una triplice convenienza. La prima sicuramente quella di sconfiggere Conte, la seconda di sottrarsi a un gioco che rischia di emarginarlo. Se infatti il gruppo dei responsabili che Conte sta cercando di arruolare nella sua Armata di Brancaleone da Volturara Apula avesse una certa consistenza il leader di Italia (speriamo) Viva troverebbe annacquato il suo potere di interdizione e allora rischierebbe sì che l’attrazione del Pd s’esercitasse sui suoi manipoli.  La terza convenienza è sia personale che di prospettiva. Personale perché potrebbe aspirare ad arruolare da Forza Italia, di prospettiva perché potrebbe contare molto di più della sua attuale presunta consistenza elettorale.
Sergio Mattarella se gli si presentasse una maggioranza di scopo – arrivare cioè fino al semestre bianco – composta da Lega, 5Stelle (ancorché con il rischio evidente di dissidenze interne per entrambi) Forza Italia e Italia Viva non potrebbe sottrarsi tanto più se l’indicazione fosse di affidare la presidenza del Consiglio a Luigi Di Maio, all’uomo più rappresentativo della compagine parlamentare di maggioranza relativa. Questo governo ponte per far fuori Conte avrebbe in sé tuti i crismi: la capacità di elaborare il Recovery Fund, tre forze del cosiddetto schieramento Ursula di cui due dichiaratamente europeiste e per ipotesi favorevoli (tanto basta la dichiarazione d’intenti) anche al Mes sanitario, avrebbe il vantaggio di imbrigliare eventuali spinte populiste (prevedibilissime quando scadrà il blocco dei licenziamenti, i ristori si mostreranno come sono insufficienti e gli italiani capiranno che li hanno resi molto più poveri) e sarebbe perfettamente espressione sia dell’attuale Parlamento sia del sentimento elettorale che si è fatto strada nel paese. Infine per i contraenti di questo patto ad excludendum tanto del Pd quanto di Conte ci sarebbe un ampio panorama sul Quirinale. Molti dimenticano che il prossimo Presidente sarà eletto anche con i voti dei delegati regionali che sono per i tre quarti appannaggio del centrodestra e segnatamente della Lega. Mettere fuorigioco il Pd in questa corsa al Colle avendo confinato alla marginalità Giuseppe Conte sarebbe un vantaggio per tutti. Un Re Di Maio per un governo ponte che isola Giuseppe Conte forse è solo un’illusione otica, ma le fate morgane hanno un infinito fascino.

0 Points