ALLA FINE DRAGHI FU, COSA PUÒ FARE E COSA NO

Alla fine Draghi fu. Mario, Mario Draghi. E’ un uomo che si porta dietro il mito di poter premere un bottone per creare denaro dal nulla. Ma se accetterà l’incarico che il capo dello Stato Sergio Mattarella vuole dargli i voti dovrà andare a cercarseli. E non si creano dal nulla. Anzi in questo parlamento sono particolarmente scorbutici. Ci sono 300 grillini in libera uscita. Chi gli ricorda il Britannia e le privatizzazioni, chi rispolvera il “signoraggio” bancario, chi lo vede come il tecnocrate per la definitiva liquidazione della sovranità italiana. Molti altri lo ritengono l’uomo della Provvidenza. La perdita del potere libera nuovamente le sirene del Vaffa. Chi si ritiene puro dimentica presto tutti i voti che ha dato per distruggere quello che predicava. E nello stesso tempo è pronto a votare chi detesta pur di non andare a casa. Draghi o chi per lui lo capirà presto e agirà di conseguenza. Potrebbe pure tenere.

Mattarella si prende una responsabilità non da poco. Spiega come un padre nobile della Patria che i tempi sono stretti per mandare il Paese alle urne e continua a esplorare strade strette. E se non funzionasse neanche questa? Non ci sarebbero più i tempi. Il Recovery Fund ce lo scorderemmo… ma poi ci serve?

Ecco, cosa ci serve? Da questo dovremmo partire prima di individuare il chi e il come. Di cosa ha bisogno l’Italia che passeggia a occhi chiusi su una corda d’acciaio e sotto soltanto il vuoto? Cosa ci dovrebbe dare Draghi o chi per lui?

Per rilanciare o almeno conservare il tessuto sociale e la nostra economia serve un terreno libero. Se davvero l’intervento deve essere taumaturgico la prima parola da mettere sul tavolo è: disintossicazione.

Dalla paura e dall’ideologia. Il virus è servito per tenere in piedi per un anno un governo che sarebbe andato in crisi a marzo 2019. Con la paura. Gli italiani sono stati trattati come monelli pericolosi. E sono intossicati di paura. Ecco, basta. Hanno dimostrato di saper stare distanziati e di usare bene i presidi sanitari. Altro il precedente governo non gli ha proposto: non ospedali funzionanti, non trasporti attenti al sovraffollamento, non scuole sicure. Anzi, a febbraio ti costringe a stare in fila all’aperto fuori dalle farmacie o dalle poste. Un ottimo modo per prendersi Covid 19. Il totem è rimasto la mascherina. E tutti la portano, correttamente.

La prima cosa è rimettere al loro posto Comitato tecnico scientifico e Regioni, che non hanno saputo far altro che accusare i loro concittadini di irresponsabilità. Azzerare e riportare nell’ambito del governo i poteri del Commissario straordinario. Dopo il fallimento del Conte bisogna tagliare le unghie anche al potere dei Duchi.

Ad oggi la casella più delicata è il ministero della Salute. Se vogliamo giocare con le parole sarebbe meglio ribattezzarlo Ministero della Sanità. Serve una personalità di spicco che decida, elimini le “zone colorate” e riduca a un solo tipo di comportamento quello necessario per far fronte all’epidemia. Codificato in modo che la vita sociale possa riprendere con continuità e in sicurezza.

Un ministero che usi i suoi uffici e i suoi enti di riferimento, come l’Istituto superiore di sanità, per identificare con certezza il reale numero di casi Covid, affidarli alla medicina territoriale. Dire chiaramente che prima del vaccino serve curare a casa, subito, chi si ammala. Riaprendo gli ospedali, che hanno rinviato 32 milioni di prestazioni anche per malattie gravissime, a chi ne ha davvero bisogno.

Un ministero della Salute che passi alla stampa, che è stata forse più incapace del governo in questo frangente, informazioni corrette e non sacche di terrore da somministrare all’opinione pubblica con gli aghi sbagliati e pagati sei volte il loro valore.

Risolto questo, Draghi o chi per lui potrebbe non avere grossi problemi di gestione a breve termine. Inutile pensare ora alle grandi riforme. Si annuncia una crisi sociale senza precedenti. Ma gli scostamenti di bilancio che sono stati votati dal Parlamento in questi mesi  ammontano a circa 180 miliardi di euro, 360mila miliardi di vecchie lire per chi ragiona ancora con il valore dei soldi. Il governo non è stato capace di spendere quasi nulla. I ministeri sono gonfi di denaro liquido, immediatamente disponibile e senza limiti di spesa. Con il quale far ripartire l’economia della piccola e media impresa e far rientrare subito nel circuito almeno la metà dei lavoratori che sarebbero espulsi dal proprio posto di lavoro con la fine del blocco dei licenziamenti. La grande industria è stata già preservata. Lo dimostra la presa di posizione del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, a favore del ministro dell’Economia Gualtieri, oggi dimissionario.

A queste cifre iperboliche si potrebbero aggiungere almeno altri cento miliardi di euro attraverso un saldo e stralcio o una rottamazione dei 50 milioni di cartelle che l’Agenzia delle Entrate già sa di dover inviare almeno in quattro anni e approvvigionandosi sui mercati che in questo periodo hanno il pregio di offrire tassi negativi, molto più bassi di quelli del MES. Draghi – o chi per lui – non avrebbe neanche bisogno di premere il famoso bottone.

Un altro passaggio fondamentale è quello sul rapporto con l’Europa. Presto per preoccuparsi dello scontro Cina-Usa, meglio limitarsi a tenerlo d’occhio. L’Europa si è dimostrata matrigna. Proprio per chi la idolatrava come la panacea di tutti i mali, la grande solutrice. Durante l’epidemia sono emersi tutti i limiti della confederazione. Si è compreso soprattutto che i Paesi che la compongono si tengono strette le personalità migliori e mandano a Bruxelles le scartine. La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen è la plastica rappresentazione di questo stato di cose. Il disastro che ha combinato acquistando centinaia di milioni di dosi di vaccino pagati subito e mai arrivati ci dice come anche il Recovery Plan sarà un terreno di battaglia tra dementi. Che probabilmente creeranno più disastri che opportunità. E finora dei 1500 miliardi gettati sul tavolo dell’epidemia, gli Stati – a parte un po’ la Germania e la Francia – nulla hanno visto nei conti… e si sono contati i morti peggio di prima. Chiaro che per i trattati che ci legano la Ue non si può mettere da parte, ma farci i conti si deve. Valutando con correttezza le strade che indica per accedere ai fondi: riconversione all’economia verde e ammodernamento tecnologico e strutturale. Un vero aiuto dai 209 presunti miliardi di euro che ci dovrebbero arrivare in sei anni da Bruxelles può avvenire solo se ci si toglie dalle palpebre l’ideologia sottostante alle misure europee. E per far questo, non ci crederete, forse serve più un politico che un “tecnico”.

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