PIANO D. MATTARELLA CALA L’ASSO, SUPER MARIO OGGI AL COLLE

“Lui non lo fa il governo, non è un politico”. Perentoria e fiera la signora Draghi rispose così ai giornalisti davanti al seggio elettorale del liceo Mameli di Roma, dove con il marito si trovava per votare. Mese di marzo, anno 2018. Il banchiere la riprese: “Dai, stai zitta”, e via così. L’anno dopo- 2019- fu lui ad essere più ironico. Per non svelare i suoi piani, lasciando la Bce alla guida di Christine Lagarde, fu lui a tirare in ballo la moglie: “Chiedete a lei”. E sulla politica o una sua corsa al Colle per il 2022? “Davvero non so”, tagliò corto.
Strana la vita. Ora un piano in serbo per il banchiere lo rivela Mattarella, un piano ormai non più top secret. Ieri sera il capo dello Stato lo ha convocato al Colle, mission- a tutti i costi- “possibile” perché qui si tratta di salvare l’Italia. Urge rialzare le sorti economiche del Paese davanti all’Europa e al mondo. E secondo Mattarella solo l’uomo che ha salvato l’Europa può farlo, solo colui che ha guidato con mano salda la Bce. Solo Mario Draghi può affrontare la sfida del recovery. E magari fare per l’Italia ciò che fece per l’Europa: “whetever it takes”, tutto ciò che serve.

Così Super Mario oggi alle 12 è atteso al Quirinale, dopo il fallimento (scontato) del mandato esplorativo di Fico e l’affossamento del Conte ter per i veti incrociati e lo scandaloso poltronificio andato in “onda” ieri. Mattarella prende in mano la crisi, sceglie Draghi per quel che sarà “un governo del presidente che faccia fronte con tempestività alle emergenze”. “Avverto il dovere di rivolgere alle forze politiche un appello per un governo di alto profilo per far fronte con tempestività alle gravi emergenze in corso”.

Lo aveva fatto capire alla viglia del mandato a Fico con l’irruzione presidenziale ed è stato del tutto evidente fin da subito che l’affido al presidente della Camera del mandato esplorativo sarebbe servito al Colle per prendere tempo e per introdurre la variabile del governo istituzionale. Così il “mazziere” di Mattarella, con incarico proforma, fallisce l’impresa delle consultazioni della sgangherata maggioranza e la mano decisiva passa al presidente che accelera per imprimere una svolta in un Paese in ginocchio dalla crisi economica e basito dallo scempio della politica che invece continua surrealmente il suo mediocre circo. Non c’è più tempo. Ma il circo è talmente debordante che perfino gli illustri commentatori d’annata presi dal rompicapo di incastri e di poltrone non colgono i segnali e protendono per una eventuale proroga concessa da Mattarella per salvare il ter, una roba che come la metti metti è una pagliacciata permanente alla quale nemmeno Conte crede più. E sarà, ma in serata l’intervento del Capo dello Stato sembra quasi una liberazione e la nazione sembra appena riprendersi un po’ di dignità per se stessa e agli occhi della famigerata Europa che ci guarda.
E infatti- c.v.d- la giornata di ieri si chiude come la cronaca di un fallimento annunciato, rappresenta il fallimento della politica, il fallimento del sistema, delle correnti, delle fazioni. Due le immagini cardine della giornata che rendono l’insanabilità del rebus, l’impossibilità dell’incastro, la tela che si disfa.
La prima: mancano pochi minuti alle 20 della sera quando il rottamatore seriale Matteo Renzi certifica via social che l’accordo non c’è: “Bonafede, Mes, Scuola, Arcuri, vaccini, Alta Velocità, Anpal, reddito di cittadinanza. Su questo abbiamo registrato la rottura”. Ha il cuore affranto, figurarsi se non l’aveva messo in conto. Ha rialzato al massimo, o la va o la spacca. E ha spaccato tutto, ben consapevole. E intanto ha rotto Conte, suo strumento per rompere i dem. Perché, sia chiaro, il duello non è mai stato veramente tra Renzi e Conte, ma tra Renzi e Zingaretti, tra Renzi e il pd. Conte era solo un’arma.
E infatti i dem ne escono con le ossa rotte, perché nella estenuante difesa del loro Conte hanno perso.

La seconda: la reazione dei dem. Dicono che Renzi è uno spregiudicato e lo scontro non è stato sui contenuti ma sui ministeri. Vero. Ma va pure detto che il pokerista nella sua mossa opportunistica ha scoperto il vaso di pandora con un recovery impresentabile e il tutto contro tutti all’interno della maggioranza che va in scena dalle dimissioni di Conte. Basti dire che, quando escono dal faticosissimo e pittoresco tavolo sul programma, Graziano Delrio e Loredana De Petris sono esausti. De Pedris (Leu) dice per la prima volta che occorre pensare seriamente al voto. Sembra il gioco dell’oca, siamo sempre al punto di inizio”. “Senza incarico questa sera, è la fine di Conte” , lamenta un dirigente dem: “Pretendevano almeno due ministeri di peso fra Infrastrutture, Sviluppo economico, Interno e Difesa.

Il pd contro Iv che “non può pretendere di scegliere i ministri degli altri partiti”. ( Nel mirino Bonafede, Gualtieri, Azzolina, De Micheli). Renzi dice un secco no anche allo schema dei vicepremier, un pentastellato e un Dem.
Orlando (pd) e Crimi, il mediatore grillino, si ribellano a Renzi.Carelli abbandona i cinque stelle e entra nel Gruppo Misto della Camera per proporsi come aggregatore di una nuova componente di centro.
Volano gli stracci, Conte abbandona le speranze, Fico ammette il fallimento, il presidente chiama Draghi.
Ora i partiti dovranno convergere su questa figura di “alto profilo”, loro che hanno certificato la propria sconfitta politica.
Come si comporteranno? Potranno dividersi ancora e farsi la guerriglia in una situazione di questo tipo? Crimi in tarda serata ha fatto sapere che i grillini non voteranno la fiducia. Ma va detto che al di là delle divisioni, intorno alla figura di Draghi potrebbe profilarsi un asse di riallineamento inaspettato per molti. Ma ora questo poco importa. Aspettiamo che Super Mario oggi salga al Colle. Il tempo stringe.

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