GIORGETTI LO STRATEGA EUROPEISTA: COSÌ LEGA IL CARROCCIO A DRAGHI ANCHE BAGNAI L’EUROSCETTICO DICE SÌ

E ancora un nuovo sì a Mario Draghi. Un sì che proviene dal più euroscettico del Carroccio. Alberto Bagnai, il senatore economista della Lega più distante dalla linea europeista, in mattinata, esterna così: “Nessun imbarazzo, è un uomo delle istituzioni e saprà gestire il Recovery, io l’ho criticato sulle banche ma lui con noi è un pragmatico”. Sorpresa inaspettata? Di certo una notizia che dà la misura del capolavoro politico e del risultato strategico a cui lavora silente e da molto molto tempo Giancarlo Giorgetti, lo stratega europeista della Lega che raccoglie le voci del “partito” degli imprenditori del nord, delle imprese e del ceto produttivo italiano. Da tempo Giorgetti tesse la svolta liberale e moderata per il suo leader populista in cui il partito si riconosce e che ora può essere ad un passo dalla svolta epocale, inserita oltretutto nella contingenza economico-politica, straordinaria, nel senso letterale- ovvero al di là della ordinaria normalità e di ogni umana previsione. È per questo che la dichiarazione di ieri di Giorgetti, al di là dell’accostamento alla stella del calcio e che fa tanto titolo sui giornaloni, non sorprende più di tanto.

“Mario è un fuoriclasse come Ronaldo, non può stare in panchina”, Giorgetti dice. Avvisa così prima i suoi e poi i competitor politici specie quelli a sigla cinque stelle. Perché “senza la Lega il governo Draghi sarebbe zoppo”. E l’anatra zoppa, si sa, ora non la vuole più nessuno. Non a caso Giorgetti il pragmatico moderato leghista evoca il fantasma del governo zoppo, una immagine tetra che rimanda a al Conte bis e mai ter, zoppo e claudicante, che solo a pensarci un attimo viene l’emicrania agli italiani. A rilanciare ci pensa il segretario subito dopo ( nel caffè al bar tra i due ieri una grande sintonia e pure questa immagine non sembra “ritagliata” a caso).
O si o no, o dentro o fuori. No a mezze misure, spiega Giorgetti. L’astensione va esclusa, perché non si può escludere il primo partito italiano. A rilanciare e puntellare ci pensa Salvini che poco fa ha detto: o dentro o fuori, non facciamo le cose a metà. Ieri aveva già spiegato che “ci preoccupa la situazione delle imprese e delle famiglie, perciò è un suo dovere sentire Draghi”. Stamane anche Zaia dal Veneto rilancia. “La Lega non è solo il primo partito del Paese ma anche quello che rappresenta la responsabilità di governo nei territori più produttivi” e il Doge è sicuro che il confronto sarà un punto di partenza. Ma una “clausola” c’è. O la Lega o i cinque stelle, ha detto ieri Salvini. È fatta, nessuna divisione tra le due cosiddette “anime”, la moderata filo europeista e la populista. Le due ali sembrano fondersi in quello che è un progetto lucido di Giorgetti che sa parlare con le cancellerie, che apre al dialogo col Ppe e con la Cdu tedesca, che raccoglie il “sentiment” degli investitori che gli hanno chiesto a loro volta di parlare con Draghi, che dialoga con i moderati per portarli all’interno del Carroccio ( molti ex azzurri sono entrati nelle lega soprattutto nei territori dove la cabina di comando del Cavaliere è rimasta orfana). Ad ottobre scorso in quella che i più definiscono una profezia Giorgetti scuoteva: “L’Europa esiste, piaccia o no, e per questo bisogna confrontarsi con chi comanda. Salvini dovrà avviare un movimento verso il centro, oppure correrà il rischio di essere annientato”.

E poi a metà dicembre avvertì il suo amico segretario, vale la pena di riportare il virgolettato per intero: “Guarda che tu devi sperare che vinca Biden. E sai perché? Perché Renzi è suo amico, o almeno crede di esserlo, e con lui alla Casa Bianca si sentirà più forte, penserà di avere l’arma nucleare, e magari sarà disposto a forzare la mano e a rischiare”. E ancora insisteva che Conte sarebbe caduto, ma attenzione, il centro destra non è pronto a governare. Cosa mancava? “Salvini deve uscire dal personaggio che gli hanno cucito addosso, e acquisire l’affidabilità di uomo di governo, interna e internazionale”. E su Mario Draghi, per il quale nutre una antica ammirazione e coltiva un rapporto diretto:”Sarebbe quello che ci vuole, per fare cose che un governo raccogliticcio come quello attuale, tutto e solo preso dal consenso, non potrebbe mai fare”.
Vaticinio, profezia, previsione? Più semplicemente uno strategico progetto. Ecco che il Carroccio sembra essersi convinto a legarsi a Draghi per una prospettiva governista e per l’Europa che verrà. Vedremo se così sarà davvero.

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