CHI TROVA MARIO TROVA UN TESORO

Draghi è il commissario liquidatore di dieci anni di politica economica del Pd sbagliata.

Siamo nel settecentenario dantesco e verrebbe voglia di rileggere la vicenda tristissima di Pier delle Vigne, il segretario particolare dello Stupor Mundi Federico II°, morto suicida. I versi di Dante sono emblematici. Dice Pier delle Vigne: “L’animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto”. Pare che questo verso s’attagli perfettamente al consesso della classe politica che ora cerca in qualche modo di salire sul carro del vincitore: Mario Draghi.  Sì i partiti si sono suicidati e quelli dell’appena tramontato governo di Giuseppe Conte senza neanche l’onore di esser stati nel giusto. Va detto a chiare lettere: il Pd pur avendo perso tutte le elezioni da dieci anni è il primo responsabile della politica economica del paese. Ed ha avuto un esito fallimentare. Ma in realtà l’ex di tutto – Governatore di Bankitalia, presidente della Bce, direttore generale del Tesoro per stare alle cose italiane – non è affatto un vincitore: è semmai un commissario liquidatore uscito (forse) dal cilindro di Sergio Mattarella o con maggior probabilità indicato a Mattarella da Macron e Merkel con calda raccomandazione da parte dell’amministrazione americana.

E’ abbastanza curioso che nessuno abbia letto i tempi delle mosse di Matteo Renzi che dà scacco a Conte appena dopo l’insediamento di Joe Biden. Quello era il segnale. L’Italia va recuperata come economia nel novero dei paesi che non creano dissesti al sistema complessivo e soprattutto – questa è la maggior preoccupazione americana, o meglio dei democratici americani di cui Renzi è una sorta di agente di commercio in Italia – ne va impedita la cinesizzazione. Si potrebbe obiettare che il Renzi presidente del Consiglio fu il primo ad aprire a Jakc Ma, l’uomo (ora sparito) di Alibaba, ma quella era un’euforia da Leopolda. Agli scout anche più scaltri a volte capita di peccare di entusiasmo. Il Pd invoca una sorta di pregiudiziale europeista per delimitare a suo favore i posti a sedere sulla locomotiva Draghi e vorrebbe lasciare a terra Matteo Salvini. E’ capitato di sentire in televisione l’emerito professor Gianfranco Pasquino ammonire: “Eh no, con Salvini non si può!” equiparando il segretario della Lega a Calimero il pulcino piccolo e nero. Il professor Pasquino ha studiato al Mit come Draghi, ma non sempre frequentare la stessa formazione dà i medesimi esiti. Non ha capito lui, come non hanno capito in molti, che qui il punto non è essere o non essere europeisti, che gli slogan delle maggioranze Ursula hanno efficacia per le piazze, ma assai meno in piazza Affari. Qui il punto è se si è atlantici o no. Perché per essere europeista basta e avanza da solo Mario Draghi. Egualmente si resta basiti dalla pochezza di analisi dei commentatori che nei talk show pontificano: di solito hanno più opinioni che lettori. Perché tutti – con quella patologia endemica in Italia – guardano il dito ma nessuno vede la luna. E allora proviamo a capire come stanno le cose.

Draghi è stato evocato e inviato come commissario liquidatore di un’Italia in pre-fallimento. Probabilmente lo stesso Sergio Mattarella non ha portato fino in fondo questa riflessione. Per spiegare agli italiani perché non si poteva votare nel post-Conte il presidente della Repubblica ha indicato tre motivi: la pandemia, il Recovery Fund e il disagio sociale. Il presidente non ha detto il vero motivo per cui non ci vogliono far votare: la situazione economica disastrosa dell’Italia. Hanno tutti una fifa matta che l’Italia imploda, e l’Occidente non se lo può permettere. Lo tsunami finanziario se l’Italia arriva all’insolvenza diventa insostenibile. Non può permetterlo Biden che teme che un default dell’Italia la consegnerebbe ai cinesi – e per la verità Giuseppe Conte, Giggino a’ gazzosa al secolo Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli ministro alla decrescita infelice ci stavano lavorando alacremente –non se lo possono permetter Macron e Merkel che certo sono pronti ad attovagliarsi per banchettare sulle spoglie dell’Italia, ma solo dopo che la crisi pandemica abbia abbandonato anche i loro paesi. E così arriva Mario Draghi.  I nostrani fini dicitori delle cose di politica continuano a magnificare il Recovery Fund e attribuiscono – com’è tipico di chi ha un pensiero confessionale, i commentatori a libro paga del Pd e quelli più vicini ai fossili democristiani  – a questi fondi un valore salvifico. Non è così. Il Recovery porta all’Italia un vantaggio netto in sei anni tra i 29 e i 31 miliardi. Non sono disprezzabili, ma sono poca cosa. Tutto il dibattito economico però è concentrato sul Recovery che deve essere magnificato con una profonda professione di fede europeista. La verità è purtroppo un’altra. Il Recovery è solo un’opportunità, neanche tanto ghiotta. C’è invece un altro enorme problema che sono il bilancio dello Stato e i fondamentali dell’economia reale. Per capirci; il Recovery è come un’eredità che arriva ma condizionata dal de cuis: puoi usare i miei soldi solo per costruire la cuccia al mio fedele cane. Punto. Se pensi di usare i soldi per sfamare i tuoi figli devi rinunciare all’eredità. L’Italia ha il problema di sfamare i suoi figli. Sappiamo anche affamati da chi. Il Recovery non può essere usato per far quadrare i conti del bilancio dello Stato né per una gestione corrente dell’economia. Può, se ben usato, servire a rilanciare nel medio periodo la capacità di generare ricchezza. Ma il punto è che non abbiamo i soldi per comprarci il tempo che serve a sentire gli eventuali benefici effetti del Rcovery che peraltro ha tre assi d’investimento inderogabili e concede i fondi solo a stati d’ avanzamento. Noi abbiamo un altro problema: si chiama economia oggi.

Gli indicatori ci dicono che i consumi sono crollati a livelli di 15 anni fa, che nonostante il blocco dei licenziamenti abbiamo perduto 440 mila posti di lavoro per lo più di occupazione femminile, che sono già scoppiate 500 mila piccole imprese, che ci sono 120 mila partite Iva di professionisti chiuse. Noi sappiamo che la produttività è arretrata di 20 anni e che la base produttiva si è ristretta a livelli di 15 anni fa, che abbiamo totalmente perso il turismo e che per tornare a livelli pre virus cinese servono almeno 5 anni. Le società di rating stimano che l’Italia entro tre anni sarà fuori dal G-8 e tra 10 anni sarà fuori dal G-20 cioè usciremo dal novero dei paesi economicamente protagonisti sulla scena mondiale.  Tutto questo significa che la base imponibile si ridurrà e lo Stato incasserà meno tasse. La domanda è: come si mantengono i servizi? I posti di lavoro? Come si recupera Pil a fronte peraltro di una deflazione per sistemare almeno un po’ il rapporto ricchezza prodotta debito che vola verso il 165% e il rapporto deficit Pil? Mario Draghi che ha pronunciato il suo discorso d’insediamento a palazzo Chigi nell’agosto scorso partecipando al Meeting di Rimini ci ha spiegato che c’è debito buono (per investimenti) e debito cattivo ( per sostentamenti), ci ha detto che lo Stato deve rafforzare il sistema bancario e deve anche facendo debito entrare nel capitale delle Pmi per curare il tessuto produttivo che in Italia è fatto da aziende a bassa capitalizzazione. Esattamente l’opposto di quanto ha fatto il Conte Bis con il Pd insediato al ministero del Tesoro: un governo tutto sussidi e mancati decreti attuativi, un governo che sulla carta ci ha indebitato per altri 150 miliardi, ma che ne ha scaricati nell’economia si e no un terzo e per lo più in prebende.  Dunque sappiamo qual è l’idea di politica economica di Draghi.

Eppure il Pd parla di maggioranza Ursula e pone la pregiudiziale europeista. Facciamoci delle domande. Come fa Mario Draghi a tenere insieme reddito di cittadinanza e capitalizzazione delle imprese? Come fa a tenere insieme debito buono, cioè investimenti, e bonus? Come fa a mettere insieme la flat tax o comunque la pace fiscale indispensabile per dare spinta produttiva e la richiesta di patrimoniale? Al di là delle fumisterie del Recovery il tema qui è: quale politica economica? Ecco perché parlare di governo politico non ha senso. Mario Draghi deve – e del resto è questa la missione che gli hanno affidato i suoi dante causa che non risiedono né al Quirinale né a via XX Settembre né a palazzo Koch  –  commissariare la politica economica italiana. Perché abbiamo una sola speranza: che lui sia la nostra polizza vita con l’Europa. Appena la paura e le conseguenze del virus cinese saranno affievoliti i paesi frugali, ma anche Germania e Francia chiederanno –se lo troveranno conveniente per i loro affari – il ripristino del patto di stabilità. E allora non ci sarà Recovery che tenga: l’Italia sarà dichiarata tecnicamente fallita e quello che è successo nel 2008-2011 in Grecia al confronto di quanto accadrà in Italia sembrerà una festa di gala. L’unica opportunità è che Draghi si comporti come un commissario liquidatore. Ma ora ci sono due domande che meritano risposte. La prima è: perché il Pd magnifica il Recovery Fund e pone la pregiudiziale europeista anti-Salvini? Perché al contrario la Lega si dice disponibile a salire a bordo della locomotiva Draghi?
Il Pd pone la pregiudiziale europeista perché non vuole perdere il controllo sulla politica economica. Sa perfettamente il partito di Nicola Zingaretti che qualcuno potrebbe chieder conto del perché ci troviamo ai margini dell’Europa. E potrebbe ricordarsi che il Pd pur avendo perso le elezioni nel 2008, nel 2013 e nel 2018 dal governo di Mario Monti in poi ha governato per l’85% del tempo e ha sempre tenuto i dicasteri economici. Dunque la responsabilità del fallimento della politica economica di questo paese negli ultimi dieci anni è interamente sulle spalle del Pd.

La lega per conto ha perfettamente capito che se non fa questo giro di giostra si aliena completamente la base elettorale produttiva del Nord. Non solo ha anche compreso che può giocarsi come alternativa al Pd solo se smonta la favola dell’europeismo che ha prodotto benessere non accusando l’Europa, ma mettendo in luce ciò che abbiamo appena notato: che non è stata l’Europa a fregarci, ma l’incapacità del Pd di governarci ritenendo – come il Pier delle Vigne dantesco- che bastasse una generica genuflessione ai diktat europei per stare dalla parte del giusto. E ora vediamo le conseguenze. Mario Draghi dovrà necessariamente evitare di sottoporre a dibattito politico le sue scelte di politica economica. Lo richiede lo stato pre-fallimentare in cui si trova l’Italia. Può trovare conveniente che l’attenzione si concentri sul Recovery, ma sa perfettamente che il problema non sono quei soldi che forse arrivano, ma sono quelli che certamente mancano. Infine Mario Draghi sa che per rilanciare l’economia di questo paese serve una cura di “destra”: meno tasse, investimenti rapidi, deregolazione, aggressività sui mercati con l’export e capacità di tenere l’Europa tranquilla. Peraltro in questa congiuntura il problema non è dove trovare i soldi, ma come generare ricchezza per restituirli. Ed è difficile farlo a colpi di patrimoniale e di reddito di cittadinanza. Dunque Mario Draghi sarà costretto a discostarsi dal luogo-comunismo del Pd. Del resto sappiamo per esperienza dove quella politica economica ci ha portato. Basterebbe fare due conti per sapere che per dieci anni l’Italia ha vissuto una continua retrocessione. E in panchina ad allenare c’è stato sempre il Pd.

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