GRILLO IL CINESE 
HA PAURA DEL NO
 DEL POPOLO
 DI ROUSSEAU

I sondaggi dicono che la base pentastellata è contro il governo Draghi e il capocomico sarebbe intenzionato a ritirare il simbolo che è di sua proprietà.

La paura fa 96. Tante le ore che avrebbe chiesto Beppe Grillo ai suoi prima di votare sulla piattaforma Rousseau. E infatti il voto è previsto tra sabato e domenica. Ma paura di cosa? Del no. Chi conosce bene il Movimento 5 Stelle sa che la base non approva il sodalizio di governo proposto. Per i pentastellati duri e puri della prima ora – gli iscritti rimasti fedeli alla piattaforma gestita dalla Casaleggio e associati e dunque quelli che accedono al plebiscito on line – ci sono due trincee invalicabili in questo accordo proposto: Silvio Berlusconi che per loro rimane lo psiconano” così come lo aveva ribattezzato il comico-capo del Movimento- e Mario Draghi che impersona ai loro occhi il diavolo della finanza, i banchieri, il deep State mondiale. Insomma viene chiesto ai puristi stellati di scendere dall’iperuranio di onestà onestà e sporcarsi le mani col mondo. E loro non ci stanno. Hanno digerito la coabitazione con la Lega per alcuni tratti di affinità (ad esempio il giudizio critico sull’Europa) alla fine hanno buttato giù il boccone amaro di allearsi anche con il partito di Bibbiano, ma andare oltre è troppo. Tanto più che non c’è neppure la foglia di fico di Giuseppe Conte.

Lo sanno benissimo alla Casaleggio e infatti – stando ai bene informati – avrebbero consegnato delle proiezioni molto riservate a Beppe Grillo due giorni fa che davano per certo il no al governo Draghi. E Beppe si sarebbe convinto di malavoglia a partire per Roma per tenere a bada, lui l’Elevato, gli eletti ed evitare di consegnare il Movimento nelle mani di Alessandro Di Battista l’unico “extraparlamentare” delle vecchia guardia che sente aria di trionfo. Forte di queste proiezioni Davide Casaleggio aveva preparato il quesito pronto a lanciarlo in pasto agli iscritti per regolare una volta per tutte i conti di Beppe Grillo “reo” di non aver onorato a sufficienza i patti a suo tempo presi con Gianroberto Casaleggio e cioè di condurre il Movimento verso il riscatto finale: quello di cambiare l’Italia. Non è un mistero che la trasformazione governista del Movimento dalle parti della Casaleggio non è vista affatto bene. Il Movimento della prima ora aveva la vocazione maggioritaria: o governiamo noi da soli o stiamo all’opposizione.

Comunque niente accordi, mai alleanze. A tal proposito viene in mente un aneddoto che spiega la metamorfosi pentastellata. Pare che Costantino Nigra, fedelissimo segretario del primo presidente del Consiglio dell’Italia unita, quando alcuni repubblicani conquistarono i seggi in Parlamento si sia avvicinato a Camillo di Cavur molto preoccupato, e il Conte rispose: “Costantino, neee, lascia che vengano in Parlamento: si metteranno la cravatta”. E questa è stata la parabola del Movimento. Anche loro alla fine si sono messi la cravatta, Luigi di Maio detto Giggino a’ gazzosa addirittura la feluca! Una parabola che oggi crea però acque agitatissime. Così Grillo è arrivato a Roma e ha chiesto ai parlamentari di non fare scherzi. Ma lo scherzo glielo stava preparando con i questi da postare su Rousseau Davide Casaleggio e così il capocomico si è adombrato. Al punto che dicono abbia messo in scena il video sui frigoriferi (senza come si fa a conservare il vaccino Pfizer?) e le lavatrici e sul ministero della transizione ecologica per buttarla in comica e fare in modo di stoppare il voto degli iscritti tra il serio e il faceto per dare modo agli uomini di apparato (il fronte governista da Patuanelli a Di Maio passando per Bonafede e Buffagni) di indirizzare il plebiscito. Beppe è sceso in campo per evitare il disfacimento del Movimento e perché non si fida di Vito Crimi che nelle ultime ore avrebbe avuto una fitta corrispondenza telefonica con Davide Casaleggio. Ma anche per dare un avvertimento a Draghi. Sostanzialmente quel suo video ha voluto dire al presidente incaricato: sentiamo che cosa ci racconti e poi io ti dico se ci stiamo. Tutti sanno che la parola di Grillo conta ancora molto sugli iscritti della prima ora. Ed è peraltro unica condizione che lo legittima a usare i palazzi della politica come fosse un capo partito. Non si capisce altrimenti perché un semplice cittadino come il signor Giuseppe Grillo di professione comico abbia libero accesso alle aule parlamentari, abbia diritto alle corsie preferenziali, possa parcheggiare dove più gli aggrada. Forse la Corte dei Conti a tacer d’altro, ma anche qualche Procura, potrebbero farsi delle domande in merito. A parte ciò quello che Grillo vuol sentirsi dire da Draghi non è il ministero di transizione ecologica, non è neppure se e quanti ministri toccano ai grillini, è probabilmente disposto ad accettare anche una ricontrattazione del reddito di cittadinanza (quello con cui dovevano sconfiggere la povertà, anzi l’avevano già sconfitta con tanto di festeggiamento dai balconi!) ma vuole capire se la dichiarazione di atlantismo fatta da Draghi e subito amplificata dal Pd significa o meno un raffreddamento dei rapporti con Pechino. C’è chi sostiene – non senza ragione che gli emissari del dittatore Xi-Jinping siano molto attenti alle mosse di Beppe che insieme a Casaleggio ha avuto e forse ha ottimi rapporti con la Cina, quei rapporti che significano G5 che hanno significato via della sete, che vogliono dire porto di Taranto e presenza massiccia della Cina nell’economia italiana.

Una presenza che con il Conte 2 si è amplificata a dismisura. Questa dei rapporti con la Cina è una partita nella partita dei 5 Stelle ed è forse l’interesse più alto che Beppe Grillo vuole tutelare. La sua conventio ad excludendum verso la Lega nel governo Draghi ha questo scopo: evitare che Salvini possa condizionare i rapporti con la Cina visto che il leader leghista sullo scacchiere interazionale si muove in direzione opposta e contraria. Ma il rapporto con la Cina è anche il primo motivo che induce Grillo a non cedere all’idea che il suo Movimento possa stare fuori dal Governo. E tuttavia l’ultimo “spiffero” dice che a seconda di come vanno le consultazioni su Rousseau Beppe Grillo sarebbe propenso a ritirare il marchio che è di sua proprietà. Insomma non concederebbe ad Alessandro Di Battista di farsi portabandiera del Marchio Cinque Stelle e vorrebbe tornare ad essere lui a decidere chi e quando può usare il simbolo. A conferma che il voto su Rousseau che i grillini presentano come massimo esempio di democrazia diretta si esercita in un partito di proprietà personale. E da questa proprietà dipendono i destini dell’Italia almeno in queste ore in cui Draghi ha deciso di attendere il responso. Anche se prima o poi a Beppe Grillo qualcuno potrebbe far pagare la patrimoniale.

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