ZINGARETTI PARE JANNACCI. SALVINI? NO TU NO MA TEME LA DRAGHINOMICS

Da dieci anni il Pd governa le scelte economiche del Paese e lo ha portato al pre-fallimento.

Vengo anch’io? No tu no? Ma perché? Perché no! Ecco Nicola Zingaretti – segretario in via d’uscita dei dem –  nell’imitazione di Enzo Jannacci con esiti assai diversi: più comici che patetici, in un ipotetico dialogo con Matteo Salvini. Il Pd è sull’orlo di una crisi profondissima per l’adesione dei “lumbard” al progetto di Mario Draghi e molti hanno interpretato questo balbettio del Nazzareno con il sospetto che i due Matteo (Salvini e Renzi) si siano messi d’accordo per far implodere il castello di supponenza che sta al vertice del fu partitone e spartirsi il bottino: Matteo Renzi di nuovo in sella ai democratici depurati dalla componente ex bolscevica, Matteo Salvini col passaporto europeo per governare dopo le elezioni (in seguito al capolavoro politico e la svolta europeista impressa da Giancarlo Giorgetti, leggete l’articolo di Alessandra Mori).

https://beconomy.it/index.php/2021/02/05/giorgetti-lo-stratega-europeista-cosi-lega-il-carroccio-a-draghi-anche-bagnai-leuroscettico-dice-si/

Fantasie? Può darsi. C’è invece un altro aspetto che è stato meno considerato ed è connaturato al Pd: l’implosione per anoressia del potere. Se il Pd sta lontano dai posti, dai soldi, implode. E’ un po’ come – nei romanzi d’appendice – il colono che si fa padrone ed è ossessionato dalla perdita della condizione raggiunta perché sa quanto pesa la zappa. Lo scrivemmo tanti anni fa quando nel 2007 il più comunista dei non comunisti Water Veltroni dette vita al suo partito di plastica. Dichiarò Uolter che il suo era un partito a vocazione maggioritaria. Non è mai statao così. Dal 2008 in avanti il Pd non ha mai vinto un’elezione, ha avuto una proliferazione di partitini intorno a se, eppure ha governato in condominio dal 2011 al 2013 sotto Mario Monti nella più sciagurata stagione, l’unica in cui si sia fatta davvero macellaia sociale, di questo paese e dal 2014 ha espresso tre presidenti del Consiglio. Dal 2014 – salvo la breve esperienza di Giovanni Tria dal giugno 2018 al settembre 2019 – ha sempre tenuto il mistero dell’Economia. Prima con Pier Carlo Padoan (ora approdato alla presidenza di Unicredit per sistemare ciò che resta dello scandalo Monte dei Paschi, unico esempio di parlamentare che diventa presidente di una banca essendo ancora in carica: si è dimesso tardivamente e per quel suo seggio correrà pare Giuseppe Conte) ora con Roberto Gualtieri.

Se ne ricava che il Pd non ha la vocazione maggioritaria, ma ha la bulimia del potere e che porta su di se per intero lo sfascio dell’economia italiana. L’arrivo di Salvini nel salotto buono scandalizza e terrorizza il Pd che alza barriere da luogocomunismo: l’europeismo, il sovranismo, l’anti-migrazionismo.  Ignora il Pd che questa è sommamente stagione di sovranismi, ma è un po’ come resilienza e sostenibilità: se non lo dici non sei nessuno. La verità è che se Salvini non tiene buoni i ceti produttivi l’operazione Draghi parte male. L’altra verità inconfessabile per il Pd è è che Mario Draghi per rilanciare l’economia deve fare una politica di destra dopo anni di cure alo sfascio da parte del Pd stesso che ha inseguito vuoti slogan come l’evasione fiscale, i ceti deboli, l’innovazione. Doveva fare poche cose il Pd minoritario in voti ma acchiappatutto in poltrone: abbassare le tasse, togliere di mezzo la burocrazia, rendere spedita la giustizia civile, ricontrattare i patti europei e fermare soprattutto il massacro del credito, dare fiducia alle imprese.

E invece ha fatto l’esatto contrario. I risultati sono non solo visibili, ma quantificabili. E questo noi facciamo. Il timor panico del Pd risiede nel fatto che si possa finalmente con l’ex presidente della Bce dire la verità sulla gestione dell’economia in Italia e sull’effetto Euro e che Draghi per rimediare ai guasti della stagione piddina faccia esattamente ciò che la destra chiede da anni e che è stata impedita a fare per la conventio ad excludndum esercitata dall’Europa via Quirinale. Ma oggi Sergio Mattarella incaricando Mario Draghi ha fato saltare il veto e le prossime politiche economiche s’indirizzeranno nel solco di una svolta liberale. Draghi dice di essere diventato un keynesiano pragmatico. Vedremo. Se è così deve in parte abbandonare il monetarismo che gli è caro, ma in parte dovrà dare fiato al mercato: da quello del lavoro, a quello dei consumi passando per il rilancio degli investimenti che vanno liberati dal peso fiscale. Può farlo perché in questo momento non è difficile trovare i soldi; il difficile è creare le condizioni per restituirli. Condizioni che l’egemonia del Pd sull’economia nazionale ha fin qui ha reso irrealizzabili. Guardando i dati che sono disponibili per tutti sul sito del Cipe si rileva in soldoni questo: l’Euro è stato un pessimo affare per l’economia reale italiana. Poteva però essere un ottimo affare per le casse pubbliche dati i bassi tassi d’interesse, la bassa inflazione, il vincolo esterno creato dai parametri europei.

Ebbene se l’Italia è scassata è perché i ministri del Pd  o prossimi ai democratici, a cominciare da Vincenzo Visco nell’ultimo governo Amato dal 2000 al 2001 periodo di pre-debutto dell’Euro,  hanno pessimamente gestito le finanze pubbliche. Sono i grafici a dirlo. Prima tre dati di scenario macro, poi veniamo al dettaglio delle responsabilità che il Pd porta direttamente nello sfascio dell’economia italiana. Nel 2002 governo Berlusconi anno di debutto dell’Euro il debito pubblico italiano con un’inflazione al 2,4% era pari al 101,9% del Pil. Nello stesso anno il reddito pro-capirte degli italiani era 27800 euro, ben superiore alla media dell’Eurozona e superiore di gran lunga alla media europea e la crescita del Pil si è attestata allo 0,5% sotto le due medie europee, ma a causa di un crollo verticale verificatosi con il ministro dell’Economia Vincenzo Visco che portò a causa del giro di vite fisale da lui praticato dal 2000 al 2001 il Pil dal 3,7% allo 0,5%. Ora se si guardassero le serie storiche ci sarebbe da divertirsi. Prendiamo però cosa è successo da Mario Monti in poi. Ebbene con Monti il soi disant grande risanatore dell’economia italiana i conti sono andati così. Il debito pubblico è salito dal 116,5 al 129%. Il Pil è crollato a meno 3%, il tasso di occupazione è sprofondato sotto il 60% e il reddito pro capite si è rattrappito a 26 mila euro pro capite ed è stato sorpassato dalla media Eu. Il primo soprasso, quello della media dell’Eurozona, è avvenuto nel 2006 governante Romano Prodi ma a livello di 28.100 euro pro capite.

Ora occupiamoci dei livelli economici italiani sotto i tre governi a guida Pd senza che il partito democratico avesse vinto le elezioni; dal 2013 al 2018. Ebbene il debito pubblico con Enrico Letta è salito al 131,8% del Pil con Renzi si è attestato al 131,3 e Gentiloni lo ha consegnato al Conte uno al 132,1 %. Vediamo le altre grandezze. Il reddito pro-capite è sceso fino al 25.800 euro per risalire poi a 27.000 euro ma la forbice con la media europea si è allargata a 1300 euro annui in meno per l’Italia e a 4 mila euro in meno rispetto alla media dell’Eurozona. Dal 2011 ad oggi la quota di povertà della popolazione è costantemente salita dal 10 al 16%, gli investimenti netti sono crollati al 17%, la produzione industriale è crollata di 30 punti sotto la media dell’Eurozona, e il Pil pur seguendo gli andamenti europei è cresciuto mediamente meno del 2% rispetto all’Europa.

Non c’è un indicatore economico che sia uno che dica che la cura Monti-Pd genuflesso all’Europa abbia migliorato la condizione dell’economia italiana o l’abbia tenuta in linea con le medie europee. Solo in indicatore il Pd ha fatto meglio di tutti: negli ultimi 10 anni la pressione fiscale in Italia è salita più che in qualsiasi paese europeo passando dal 38,9% al 43,2 fino a toccare con il ministro Pd Roberto Gualtieri il record mondiale del 48,2%. Scomodo che ora arrivi Matteo Salvini a mettere in discussione questi primati. E allora ecco la mossa dialettica di Zingaretti: è la Lega che si è convertita alle posizioni del Pd. Ma le cifre dicono che le cose non stanno così. Il Pd ha appoggiato e interpretato acriticamente la politica del rigorismo europeo che ha portato come si è visto allo sfascio dell’economia italiana. Semmai è l’Europa che ha capito i suoi errori – meno il Pd – e che oggi si presenta meno ostile. E’ questo che consente oggi alla Lega di non “sparare su Bruxelles” per consentire a sua volta a Mario Draghi di mettere in ordine i conti dell’Italia scassati da Conte attraverso una politica di destra. Di cui Matteo Salvini si fa garante.

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