GLI ACUTI DOLORI DEL POVERO ZINGA IL PD MASCHILISTA OUT SULL’ECONOMIA

Dopo otto anni di egemonia sui conti pubblici senza consenso elettorale i democratici escono dai ministeri che contano e Franceschini è bocciato

Non si capisce perché nelle osservazioni che i soliti commentatori fanno sulla composizione del governo di Mario Draghi sia scomparsa una valutazione che invece icto oculi appare la più importante: il Pd viene espulso dalla guida dell’economia. E’ una bocciatura senza appello – di cui si fa emblema l’aver sfilato il turismo dalle competenze di Dario Franceschini per trasferirle a un ministero ad hoc guidato dal leghista Massimo Garavaglia già viceministro all’economia con tutto ciò che tale mossa implica a livello sia pratico che politico – che procura non pochi dolori al traballante segretario dem Nicola Zingaretti assediato anche dalle donne del partito che gli rinfacciano di non essersi battuto per avere sue quota rosa nel gabinetto appena formatosi. E’ singolare che si ritengano grandi sconfitti i 5Stelle che comunque conservano – per la manina di Mattarella- la poltrona alla Farnesina per Luigi Di Maio e non i piddini che invece vengono maltrattati. E ’vero che mandano il vicesegretario (i vicesegretari dei partiti ci sono tutti nel governo) Andrea Orlando al ministero del Lavoro, ma in questa fase è difficile considerarlo un dicastero totalmente economico: il Lavoro oggi è più percepito come una trincea per evitare il massacro sociale che non come un dicastero di programmazione. E’ sicuramente un passo avanti aver sfrattato da via Flavia la Nunzia Catalfo la pentastellata convinta che il lavoro sia un salario e non un’occupazione e cioè che bastano i sussidi, quando invece servono politiche attive dell’occupazione per creare opportunità, ma non può dirsi che l’ascesa di Andrea Orlando a quel ministero sia bastevole a consentire al Pd di avere un piede nelle cabine di regia delle politiche economiche. La beffa per Nicola Zingaretti è davvero enorme: lui ha basato tutta la narrazione dei successi della presenza del fu partitone al governo sul Recovery Fund, lui ha costruito la fattispecie dell’europeismo sulla genuflessione dell’ex ministro all’Economia Roberto Gualtieri ai diktat di Bruxelles, lui con tanto di sostegno acritico dei versatori di saliva ha costruito la conventio ad ecxludendum verso la Lega sui rapporti con l’Europa privilegiati che il Pd ha via Paolo Gentiloni (Commissario a sovranità limitata all’Economia a Bruxelles) e David Sassoli (mezzobusto da rappresentanza che presiede l’aula di Strasburgo) e sul fatto che l’Italia sta dentro i confini di programmazione economica europei.

Ebbene Mario Dragi affidando l’economia al suo avatar Daniele Franco ha escluso il Pd dalla cabina di regia del Recovery, ma ha fatto di più: ha detto al Pd avete sbagliato tutto in economia. La prova? Nessun ministero che afferisca alla produzione e alla programmazione è sotto la responsabilità del Pd. E quello di Draghi che su queste materie ha fatto davvero tutto da solo non è tanto un giudizio politico, quanto un giudizio tecnico. Motivato dia numeri. Il Pd da otto anni senza mai aver vinto un’elezione si è intestato la politica economica del paese ed ha assunto una posizione di totale subalternità al Bruxelles. E’ stato Draghi dalla Bce con il famoso “whatever it takes” a costringere l’Europa ed in articolare i suo più acerrimi oppositori (Schauble allora ministro economico tedesco e Weidmann presidente della Bundesbanke) a cambiare marcia sulla crisi che poi con l’avvento della pandemia è diventata con Ursula Von der Leyen sospensione del patto di stabilità fino al Recovery Fund (che è in larga misura un’illusione ottica contabile). Ma il Pd per coltivare il suo europeismo, unica trincea politica da opporre all’odiato Matteo Salvini con il quale però ora governa insieme, ha continuato a mortificare gli interessi dell’Italia. E’ scritto nei numeri. I grafici del Cipe (Comitato per la programmazione economica, dunque dati del governo) non mentono. Negli otto anni dal 2013 al 2021 (governi Letta, Renzi, Gentiloni, poi Conte Due con la sola parentesi dei 14 mesi del Conte Uno) la responsabilità delle politiche economiche è sempre stata del Pd. E i dati dicono che i Pil ha avuto un andamento negativo fino al 2014 poi è cresciuto ad un massimo del’1,4% nel 2017 per precipitare a zero nel 2019 e infine con lo sprofondo del 2020. Ma lo scostamento di crescita dell’Italia rispetto all’Eurozona è stato di quasi tre punti costante e rispetto alla media Ue di 2,4%. Siamo l’ultimo paese d’Europa per crescita. Se si prende la produzione industriale con il Pd è scesa a indice 76 e si è mantenuta con lievi oscillazioni su quel livello per tutto il periodo con una distanza media di 38 punti e picchi fino a 48 punti rispetto all’Europa.

Se si prende il reddito pro capite ha oscillato tra 26 e 27 mila euro con una distanza media di tremila euro dal reddito medio europeo, se si prendono gli investimenti sono rimasti costantemente inferiori di quasi 4 punti percentuali dalla media europea. E se si prende infine il debito pubblico è passato dal 129,2 % con Letta al 132,1 con Gentiloni per esplodere al 167% con Roberto Gualtieri ministro dell’Economia. Si possono prendere tutti i dati economici che si vuole dall’occupazione al risparmio alla pressione fiscale (cresciuta con i governi Pd dal 39% di Letta al 43% nominale, ma 48% reale con Gualtieri ministro economico) per dimostrare l’incidenza negativa che le scelte del Pd hanno prodotto sul tessuto economico. Oggi a trattare con l’Europa, oggi a gestire il Recovery fund ci pensa direttamente l’ex presidente della Bce che però non ha affidato al Pd neppure i ministeri “per la ripresa”. La scelta di dare a Giancarlo Giorgetti la delega allo Sviluppo economico significa: siate voi a parlare con i ceti produttivi. Ma ancora più incidente sul piano politico è l’aver sfilato a Dario Franceschini (era nel Conte due il capo-delegazione del Pd al Governo) la delega al turismo per affidarla a Massimo Garavaglia. Il giudizio è esplicito: Franceschini lei ha distrutto un settore che vale il 13 per cento del Pil, ora tocca a chi come la Lega sa interpretare le istanze di ristoratori, albergatori, tour operator, territori tentare di ripristinare il valore di questo settore che per l’Italia è strategico. E ora nel Pd volano gli stracci. Le donne sono su tutte le furie, i sindaci chiedono una nuova linea politica, la frattura tra ex comunisti ed ex democristiani si allarga con i renziani che stanno a guardare. Per il povero Nicola Zingaretti è tempo di dolori.

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