TOCCA ALLA LEGA 
ACCENDERE LA RIPRESA CON GIORGETTI
 E GARAVAGLIA

Conti dell’Italia allo stremo. Draghi affida a Daniele Franco (Bankitalia) l’Economia mentre Bruxelles dice che siamo gli ultimi

Dannati gli ultimi perché… resteranno ultimi. Neppure il Vangelo secondo Mario Draghi riesce a cambiare la parabola negativa dell’Italia che è ultima tra i paesi europei per crescita e resterà a lungo ultima. S’affida a un suo fidato, ma soprattutto a uno che può tener buona la Bce. Nomina nuovo ministro dell’Economia Daniele Franco prelevandolo dal board della Banca d’Italia. Franco è come Draghi, anzi è la fotocopia in A-5 di Supermario e sarà fedelissimo esecutore delle direttive del capo. Mario Draghi sa che se a Bruxelles si mettono a fare i cattivi con il patto di stabilità ripristinato e ci incravattano con la riduzione del programma speciale di acquisto titoli per noi è la fine. Franco ha di fronte a sé un programma tutto tassi, speriamo non tasse, risparmi e benevolenza europea. E di traduzione in atti del Draghi-pensiero. Il primo scoglio sarà lunedì prossimo quando si riuniranno i ministri dell’Eurogruppo (i responsabili delle politiche finanziarie ed economiche dei paesi che adottano l’Euro). La nomina di Franco è uno sgarbo al Pd. Roberto Gualtieri trasloca ma lo schiaffo vero viene dato a Paolo Gentiloni, commissario europeo in quota Pd, all’Economia ma in perenne libertà vigilata dal vicepresidente della Commissione Vladis Drombrovskis. Perché accade? Perché Draghi non si fida della benevolenza europea e sa che l’Italia è impantanata in una crisi gravissima. Non a caso chiama allo Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, l’artefice dell’approdo della Lega nella maggioranza, e dà un segnale fortissimo ai ceti produttivi: un vostro uomo al potere perché dovete mettervi ventre a terra a produrre e a lavorare.

Significativa, forse la più significativa di tutte, è la nomina di Masssimo Garavaglia a neo-creato ministro del Turismo. Anche lì si tratta di un uomo della Lega che va a cercare di sanare un vulnus enorme che il governo Conte Bis e il PD hanno creato al tessuto economico del paese. Significa che Draghi vuole investire molto nella ripresa di settori ad alta intensità di occupazione e capaci di generare Pil molto velocemente appena ci sarà la ripresa. Significa anche che ha letto la Lega come il partito dell’Italia che produce. Sarebbe da valutare l’altro schiaffo che così ha dato a Dario Franceschini, il capo delegazione del Pd nel Governo Conte Due, che è stato sì riconfermato alla cultura, ma privato del turismo. Segno evidente che i bonus vacanze e il totale abbandono in cui Franceschini ha lasciato le categorie produttive di quel settore che vale da solo 13 punti di Pil hanno pesato. Draghi punta su moltiplicatori di Pil perché sa che la situazione italiana è disastrosa. Ci sono i danni della pandemia, certo, ma ci sono i danni insanabili che in venti anni di mitizzazione dell’Euro hanno prodotto governi proni alla visione ragionieristica dei paesi del Nord Europa. E non vale qui evocare scomuniche di sovranismi, ciò che conta sono i numeri e i numeri sono impietosi. Allargando lo spettro allo scenario mondiale si potrebbe ben dire che l’Europa è un vaso di coccio tra due robustissimi e aggressivi vasi di ferro: la Cina della dittatura comunista, l’America del nuovo sovranismo democratico, quello che Joe Biden chiama american buy e finanzia con un piano monstre da 100 miliardi di dollari. E l’Europa? E’ un po’ come il romanzo di Archibald Cronin: e le stele stanno a guardare. Per smontare una certa fideistica prosopopea continentale basterebbe citare gli aruspici fallaci su Boris Jhonson che sancita la Brexit doveva affondare con il suo “regno” di isole britanniche. Uk nonostante colpita durissimamente dal virus cinese ha fato sì meno, 9 di Pil nell’anno funesto appena trascorso ma ha già dato prepotenti segni di risvegli: più 1,1% di Pil nell’ultimo trimestre pur in presenza di pandemia. Dunque ha invertito la curva, quindi riparte.

E’ la sola insieme alla Cina che sul suo virus molto ha profittato ad avere un Pil positivo. L’Europa invece stagna e nella stagnazione l’Italia affonda nelle sabbie mobili del suo immobilismo. Tocca a Draghi provare a tirarci fuori. Alla pandemia si somma l’antico male che è in gran parte imputabile alla narrazione economica del Pd tutto genuflesso a Bruxelles. Per spiegare quale sia questo male non è necessario arrampicarsi sulle teorie economiche (lo faremo nei prossimi giorni per capire se la conversione di Mario Draghi ad un approccio keynesiano sia solo declaratoria e quanto spazio liberale ci sia nel suo progetto d’Italia). Per spiegare quel difetto d’origine che ha eroso in vent’anni l’economia italiana è bastevole riandare a Pier Paolo Pasolini – tra un anno se ne celebra il centenario dea nascita e speriamo che qualcuno se lo ricordi e non accada come sta accadendo con Dante di cui score disperdendosi il settecentenario senza che nulla si dica –  forse il più lucido, certamente il più poetico, analista della disillusione comunista che ebbe a notare: “I nuovi valori consumistici prevedono infatti il laicismo (?),la tolleranza (?) e l’edonismo più scatenato, tale da ridicolizzare risparmio, previdenza, rispettabilità, pudore, ritegno e insomma tutti i vecchi «buoni sentimenti».” La modernizzazione tecnocratica e consumistica che la sinistra ha subito trasformandosi da forza di popolo, operaia e artigiana in partito della ZTL che ha abboccato a parole d’ordine vuote come innovazione, post-industriale, de-materiale ha inciso profondamente sulla mutazione della struttura economica e produttiva del paese e oggi facciamo i conti con l’assenza di moltiplicatori di valori.

E’ questa a sfida più dura che Draghi deve affrontare. Non basta cullarsi sull’idea che lo spread cala: a questi valori, attorno a quota 90 di differenziale col Bund tedesco, risparmiamo circa un miliardo e mezzo l’anno. Nulla a fronte di un debito che corre al 165% del Pil, nulla a fronte delle cifre che ieri ha fornito l’Inps presieduta da Pasquale Tridico: fino alla settimana dell’8 febbraio la cassa integrazione si è manifestata con pagamenti diretti a oltre 3,6 milioni di lavoratori e pagamenti a conguaglio su anticipo delle aziende per 3,4 milioni di lavoratori, per un totale di quasi 29 milioni di integrazioni mensili su oltre 4 miliardi di ore autorizzate. Tradotto in euro sono 40 miliardi! E si esulta per il risparmio dello spread. La narrazione lubrificata da ettolitri di saliva versati per compiacere chi ha governato e chi governerà, non serve a raccontare come sta l’Italia. La cura sarebbe crescere, crescere, crescere. Ma i presupposti sono lontani. Così Draghi punta su un banchiere di ferro per tenere i conti in ordine e su due uomini di “categorie economiche” per generare fatturato. Poi c’è la scelta di Enrico Giovannini alle infrastrutture, uno che conosce la macchina dello Stato e sa come mettere in moto i cantieri. Dunque c’è una proiezione verso lo sviluppo. Unico punto interrogativo: Stefano Patuanelli all’agricoltura. Scelta politica, ma forse non adeguata perché l’agricoltura ha dentro anche l’industria agroalimentare che è uno dei volani necessari per ripartire.  Andrea Orlando al Lavoro contenta i Pd, tiene buoni i sindacati, ma dà qualche garanzia sul fatto che i sussidi non saranno più a pioggia e forse le pensioni salve. Scelte indotte a Draghi dalla situazione pre-agonica in cui versa l’economia italiana. Lo ha certificato ieri a Bruxelles Paolo Gentiloni che ci fa sapere che il Pil italiano, crollato meno del previsto a -8,8% nel 2020, crescerà del 3,4% nel 2021″a causa del riporto negativo del quarto trimestre 2020 e la partenza debole di quest’anno. Nel 2022 cresceremo del 3,5% sulla base dello slancio guadagnato nella seconda metà dell’anno e della continua ripresa del settore servizi”, ma il Pil “non tornerà ai livelli del 2019 entro il 2022”. Ci raccontano che però con il Recovery Fund ci sarà uno slancio. I primi soldi se va bene arriveranno in autunno e saranno due spiccioli. L’Italia resta ultima in Europa per crescita e l’Europa resta ultima nel mondo.

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