L’URLO DI MUNCH DEL MONDO DELLO SPETTACOLO E LA FARSA DI FRANCESCHINI

È servito l’urlo di dolore delle maestranze dello spettacolo per far scendere dal trono il ministro della Cultura Franceschini che l’altro giorno si è materializzatio al Globe Theatre a Roma accannto alle maestranze. L’aria non tira e pure Franceschini lo ha capito. Oggi loro in grande stile porteranno mille bauli a Roma in piazza del Popolo. Chi sono? Il “movimento dei Bauli in piazza”, l’associazione dei 570mila tecnici e professionisti della cultura, musica eventi, invisibili e fermi da un anno. Una grande protesta che unisce gli occupanti del Piccolo con quelli di ‘Bauli in piazza”. Dopo più di un anno dal blocco degli spettacoli dal vivo chiedono una riforma strutturale del settore, vogliono un confronto politico sui problemi di un settore abbandonato. Gli invisibili si riprendono finalmente la scena e occupano il Globe Theatre di Roma, il teatro tanto amato da Gigi Proietti, “l’ottavo re di Roma” che se oggi fosse qui con la sua inimitabile voce forse intonerebbe “te c’hanno mai mannato a quer paese sapessi quanta gente che ce sta”. C’è la crisi dei concerti, degli spettacoli dal vivo, della musica classica. Dalla Capitale al Piccolo di Milano e al Malatesta di Napoli, ecco le proteste disperate. Perché non sono solo le “prime file”, i nomi di spicco, Monica Guerritore che lancia la petizione chiedendo di “ripartire dai teatri antichi all’aperto con testi classici, Daniele Silvestri che scenderà in piazza accanto ai lavoratori, non c’è solo chi fa titolo sui giornali ma ci sono gli operatori riuniti sotto varie sigle- altri non garantiti al pari dei ristoratori ma ancor più invisibili (dagli Autorganizzati dello spettacolo fino all’Arci). Sono loro i più dimenticati e non ascoltati nella disgraziata pandemia. Ora c’è la partita aperta con gli stadi.

Se gli stadi riapriranno allora varrà lo stesso per la musica, pontifica Franceschini che, con un coupe de theatre, si va a sedere al Globe vicino ai lavoratori. Remember, in inglese, o memento in latino, o ricordate, nel nobile italiano tanto osannato a 700 anni dalla morte di Dante, il  padre della lingua italiana, insomma fate voi: l’empatico ministro della cultura solo ad ottobre scorso, davanti allo stesso grido di dolore della categoria che ora è nelle piazze, così rispondeva: “Non capite”. Si difendeva così dalle accuse e sempre empaticamente replicava dopo aver fatto il pieno di critiche provenienti da Riccardo Muti che tuonò : “Chiudere le sale da concerto e i teatri è decisione grave.

L’impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo” fino a a Marco Bellocchio che così apostrofò: “Neanche le bombe fermarono cinema e teatri, una sciagura chiuderli ora”. Era l’epoca buia dei dpcm ma ad oggi non si è ancora capito perché andare nei teatri, cinema e musei – se in numeri controllati e con regole certe- sarebbe più pericoloso del frequentare i mezzi pubblici dove si sta tutti accalcati. E perché mai i musei non sono stati aperti come si poteva fare già da un pezzo. Molto interessante in tal senso lo studio condotto  dall’Hermann-Rietschel-Instituts che analizza i luoghi a rischio e i reali luoghi critici per i contagi. Per versare un altro po’ di lacrime, se non bastassero quelle già andate, ecco i dati Siae 2020 che rendono il quadro dell’annus orribilis delle perdite del settore: musica e cinema piangono con la spesa del pubblico diminuita dell ‘82,24 per cento, da 2,8 miliardi di euro del 2019 a 623 milioni circa del 2020. Il settore dei concerti tra i più colpiti con l’89,73 per cento in meno, seguito dal teatro (77,94 per cento) e dal cinema (74,06 per cento).

Lacrime tante e vere quelle di chi lavora, di coccodrillo quelle di chi ancora aspetta a ridare speranza, quella vera, alle maestranze. Quelle che con sacrificio e talento permettono la reale “messa in onda” di “A me gli occhi please”.

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