RIAPERTURE ALLA FANTOZZI, RISTORATORI PIEGATI, AZIENDE IN GINOCCHIO TRA USURA E CHIUSURA

Mentre i ristoratori sono piegati dalla crisi, mentre le microimprese dello sport soffrono mancanza di ossigeno vitale del movimento, mentre il mondo della cultura, del cinema, del teatro, della musica, dei concerti fa riecheggiare il rumore di oltre mille bauli ( oltre mille professionisti di nero vestiti in piazza del Popolo sabato scorso) arriva l’ultima stangata dal centro studi di Confcommercio: 40mila imprese del commercio, della ristorazione e dell’alloggio sono a rischio. E sapete di cosa? Di un male nero che si chiama usura ed è il fenomeno che rischia di strozzare definitivamente i piccoli imprenditori, schiena produttiva del Paese già spezzata. “Giù fatturato e poca liquidità e il rischio usura galoppa”, ecco la frase inquietante certificata dai dati. “Con il fatturato pesantemente ridotto, senza liquidità, senza credito e con i conti da pagare, è facile capire quanti imprenditori rischiano di essere facili prede per la criminalità organizzata e le pratiche di usura, avverte il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli. Ma non è tutto. Dramma nel dramma, perché sono 300mila le aziende a rischio chiusura.

E meno male che i dati sono stati esposti nella “Giornata della legalità” cui ha partecipato anche il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. E allora per versare un altro po’ di lacrime (una montagna altro che valle) se quelle già in corso non bastassero, aggiungiamo che dal 2019 a oggi la quota degli imprenditori che ritiene aggravato il fenomeno è aumentata del 14% che il sud è tra le zone più colpite. “Nel Mezzogiorno è anche maggiore il rischio di chiusura definitiva delle imprese. Tra nove grandi città italiane, Napoli, Bari e Palermo risultano quelle più esposte”. Insomma, Confcommercio avverte che, senza adeguati sostegni e un preciso piano di riaperture, 300mila imprese sono sul punto di chiudere. Definitivamente. Trattasi- ripetiamo e specifichiamo- di trecentomila imprese del commercio non alimentare e dei servizi, delle quali 240mila stanno chiudendo esclusivamente a causa della pandemia. Sempre Confcommercio chiede al governo di calibrare con attenzione il piano di aperture. Si apre all’aperto e sarà contento chi in estate potrà godersi una cenetta all’aperto, ma con il fiato corto con l’agitazione di rincasare alle 10, prima di Cenerentola ( non si capisce che differenza faccia tra le 10 e le 11).

Ma soprattutto che ne sarà della metà delle imprese che hanno attività al chiuso? Come faranno per esempio i ristoratori piemontesi che si sentono già “beffati dalla zona gialla”? Lo spiega Maria Luisa Coppa presidente di Ascom. Il motivo è semplice, i locali torinesi in maggioranza non hanno tavoli all’aperto. Lunedi il Piemonte tornerà nella tanto attesa zona gialla ma Torino non è Roma e il più dei ristoranti non ha tavoli all’aperto per via del clima meno mite. Per questo sempre Confcommercio chiede due “linee”: che le amministrazioni locali permettano di utilizzare nuovi spazi pubblici e di anticipare il prima possibile le aperture anche all’interno, con distanziamento e protocolli di sicurezza. Ma clima meteorologico a parte, è il clima del paese reale a bollire, per usare un eufemismo. Alla viglia del nuovo decreto sulle riaperture la speranza sembrava avvicinarsi, la protesta sedarsi ma così non è. E lo Speranza ora et semper ministro diventa sempre più un caso senza speranza, sempre più contestato. Il passo da Torino a Roma sembra lungo ma è più breve di quanto sembri. Solo l’altro giorno un gruppo di associazioni che fa capo a Tni, Tutela nazionale Imprese, ha bloccato e mandato in tilt l’A1, mentre un gruppo di ristoratori e produttori capitanato dallo chef e imprenditore Gianfranco Vissani è andato fino al cancello di casa Draghi a città della Pieve presentando un piatto appello, come ci ha raccontato l’altro giorno Vissani stesso in diretta su Rpl. Un piatto forte ma ancora non “assaggiato” dal premier Draghi, considerato che ad oggi sono rimasti inascoltati.

“Riaperture all’aperto dal 26 aprile? Ma con questo freddo come si fa a fare i dehors all’aperto?” aveva già avvertito lo chef imprenditore. Lui è al fianco dei suoi colleghi, i più deboli, lui che ha “2 milioni di euro di perdite e in 13 mesi ho ricevuto ventimila euro e non ci pago nemmeno le bollette”. Figurarsi gli altri, i più piccoli. Il decreto scontenta tutti. Paolo Bianchini, presidente di MIO Italia, Movimento imprese Ospitalità, torna all’attacco: “Il coprifuoco è un’aberrante violazione della libertà. Come si fa a tacere? Il Cts non si è affatto espresso per “il tutti a casa alle 22, è una scelta della sinistra di governo che insieme alle altre misure sta trasformando in un deserto senza vita il nostro tessuto produttivo”. E Imma Schettino, coordinatrice insieme a Yui Dorian Gray, del movimento “Lo Sport è Salute”: “Il 1 giugno riaprono le palestre in zona gialla? La stagione è finita e andiamo in debiti”. Ironia amara. “Le perdite sono atroci e non saranno mai ripagate, una presa in giro”. Foto nostra copertina docet. Perché questa è la foto del Paese reale. Un Paese in ginocchio.

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