IL FUTURO È DONNA MA NEL RECOVERY LE SIGNORE RESTANO IN PANCHINA. OCCASIONE MANCATA?

* di Rosaria Mustari

Circa un anno fa, in piena pandemia, in occasione della pubblicazione di un rapporto sull’impatto del covid-19 sulla condizione femminile, il segretario generale dell’ONU, António Guterres ha formulato un ben condivisibile appello: «Chiedo ai Governi di mettere al centro delle loro strategie per la ripresa le donne… è indispensabile che contributi economici e prestiti siano indirizzati sulle donne in particolare».

Invero, l’accorata richiesta non ha sortito effetti degni di nota nel nostro paese, nonostante i proclami provenienti da tutti gli schieramenti politici.

Occorre rimediare a un quadro sconfortante: il tasso di partecipazione delle donne al lavoro è pari al 53,8 %, con una media europea del 67,3% e punte drammatiche nel Mezzogiorno;  la quota di autonomi sul totale degli occupati è ampiamente superiore tra gli uomini (7,1 %) rispetto alle donne (3,5 %).

La pur sparuta occupazione femminile è anche penalizzata su plurimi fronti, a partire dalle disparità salariali e dalla precarietà lavorativa, dalle difficoltà nell’avanzamento professionale e nell’accesso alle posizioni apicali, sia nel privato che nel pubblico.

Nella classifica del Gender Equality Index dello European Institute for Gender Equality l’Italia si trova al 14° posto, con un punteggio di 63,5 punti su 100, inferiore di 4,4 punti alla media UE.

A ciò aggiungasi che la pandemia ha determinato un generale peggioramento della situazione, incrementando da un lato il tasso di inattività delle donne attribuibile a responsabilità di assistenza (35,7% contro il 31,8% della media UE), dall’altro gli episodi di violenza sulle donne e i femminicidi.

A fronte di tanto, le grandi speranze riposte negli interventi volti a far fronte all’emergenza si sono già dissolte e nemmeno rilevanti mutamenti sembrano profilarsi dalla lettura dello strumento, il PNRR, che maggiormente potrebbe incidere, anche in maniera durevole, sulla condizione occupazionale e, più in generale, dei diritti delle donne nel nostro sistema.

Parte con le migliori intenzioni il Piano, configurando la questione come priorità trasversale, tale da essere favorevolmente incisa da tutte le “Missioni” di cui esso si compone.

In particolare, può essere apprezzabile, ma è certamente insufficiente la previsione di un favor per le  imprese che, per partecipare ai progetti finanziati dal PNRR, comprovino l’assunzione di giovani e donne,  da configurare come requisiti necessari o premiali, mediante apposite clausole nei bandi di gara.

Ancor più significativa, ma comunque sempre insufficiente l’introduzione di un sistema di certificazione della parità di genere, così come pure la promozione dell’imprenditoria femminile.  A tal proposito, il PNRR richiama più volte la Legge di Bilancio 2021 che già aveva istituito il nuovo «Fondo a sostegno dell’impresa femminile» e rimarcato pure la funzione di «promozione e rafforzamento della microimprenditoria femminile» in capo all’Ente nazionale per il microcredito.

Generica e vaga la finalizzazione a “sostenere la realizzazione di progetti aziendali innovativi per imprese già costituite e operanti a conduzione femminile o prevalente partecipazione femminile…”.  Non è chiaro a cosa ci si riferisca di preciso, certamente la dicitura richiama alla mente le azioni positive, per cui potrebbe prefigurarsi anche un rifinanziamento della ingiustamente pretermessa legge n. 125/91.

Appena tratteggiati poi gli effetti indiretti che dovrebbero derivare dall’attuazione delle  Missioni, anche laddove essi potrebbero avere portata esiziale. E infatti, la Missione 4 mira da una parte a innalzare il tasso di presa in carico degli asili nido e dall’altra a potenziare i servizi educativi dell’infanzia (3-6 anni), per fornire sostegno alle madri e contribuire così all’occupazione femminile. Tuttavia, non specifica in che misura le risorse verranno ripartite tra la prima e la seconda finalità, aspetto ben rilevante, considerata la peculiare criticità italiana quanto al tasso di presa in carico degli asili, pari nel 2018 ad appena il 14,1%.

E proprio la carenza di programmazione in ordine alla costruzione di una rete di infrastrutture sociali idonee a supportare l’occupazione femminile costituisce il vulnus più grave da cui è affetto il Piano, insieme alla più generale mancanza di indicatori relativi al raggiungimento di ciascuno degli obiettivi operativi prefissati che, senza le schede attestanti il grado di avanzamento, sono ben difficili da valutare e paiono anche poco concreti e scarsi di efficacia.

E’ evidente che un simile approccio non può bastare per far fronte a così gravi criticità; il divario di genere è ormai intollerabile e il legislatore non può più indugiare, ma deve intervenire con misure di comprovata validità, idonee a sovvertire una congiuntura fortemente pregiudizievole qual è quella attuale.

E’ necessaria una strategia di ampio respiro, complessa, composita e sistematica che  affianchi alle linee di azione tracciate dal PNRR altri strumenti, a partire dalla normazione che si avvale di azioni positive e di riserve di quote che sempre tanto proficua si è rivelata alla prova dei fatti.

Come è noto, oltre a dare attuazione ai principi fondamentali della Costituzione, questa tipologia di norme ha prodotto rilevanti risultati pratici, aprendo i cda delle società quotate e i consessi politico istituzionali a una significativa presenza femminile con ricadute molto favorevoli, per come certificato da plurimi studi a livello internazionale.

E’ il momento di estendere ulteriormente l’ambito di applicazione di queste particolari tecniche normative atte a “scardinare disparità”, in modo da consentire che esse operino in settori finora ben poco accessibili alle donne. Basti pensare, solo a titolo esemplificativo, alle innumerevoli nomine e designazioni pubbliche poste in capo a governo e istituzioni centrali e locali. L’introduzione di vincoli idonei a consentire un incremento delle possibilità di conseguimento per le donne sarebbe un segnale forte di equità e di trasparenza.

Un intervento realmente promozionale, tale da incidere profondamente a livello sociale, ampliando la partecipazione femminile nei gangli fondamentali dell’apparato istituzionale, amministrativo e produttivo e conseguentemente contribuendo anche all’evoluzione culturale che ne discende.

Del resto, l’equilibrio di genere comporta migliore efficienza del sistema economico nel suo complesso (un sistema squilibrato è inefficiente) e perciò maggiore produttività, il che vuol dire oggi ripresa e crescita economica.

E’ chiaro quindi che investire nel potenziale femminile inespresso è un primario interesse generale e collettivo, di tutti e non soltanto delle donne.

  • Rosaria Mustari – Avvocato Cassazionista
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