I PROMESSI SPOSI DEBUTTANO A ROMA AL TEMPIO DI ADRIANO CON SGARBI IL TRIDENTE MA IL RITARDO È CAPITALE

Da oggi Enrico Michetti sarà in campo Capitale. Il centrodestra compatto- si fa per dire- sta presentando il suo candidato al Tempio di Adriano a Roma alla presenza di Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani. Dopo un ritardo impressionante tra rinvii, dissapori, indecisioni, sarà lui a correre in casa centrodestra affiancato dal magistrato Simonetta Matone. I promessi sposi sono pronti, la città con i suoi problemi atavici non accetta promesse ma chiede fatti e la coppia di promessi vuole trasformarsi in tridente con un Vittorio Sgarbi scatenato e in grande spolvero che anela a realizzare il suo antico sogno che andò a vuoto con Alemanno nel 2008, quello di diventare l’assessore alla Cultura della Capitale, il che sarebbe l’unica nota positiva per la competenza, la cultura e la variante di genialità artistico culturale di Sgarbi che scardinerebbe la stasi culturale che alberga a Roma considerata l’inadeguatezza dell’attuale titolare della Cultura della giunta Raggi.

Il Vittorio nazionale rivendica il tridente annunciato in pompa magna da Salvini giorni fa per coprire il vulnus della Lega per l’operazione firmata Giorgia Meloni che ha imposto la candidatura di Michetti, tribuno della radio e avvocato sconosciuto fino ai giorni scorsi, nessun curriculum politico alle spalle. Solo la storia di Roma può trafiggere con la sua spada secolare la storia d’Italia, dicitur. E non è luogo comune, ma luogo, anzi vizio Capitale. Così oggi la visione cinica della politica scivola nel civico per non scegliere, per non rischiare. Ribadiamo, come già ampiamente detto un dato: il fatto che nessun politico di rango delle prime file abbia voluto accettare in casa centrodestra la sfida di Roma è assai straordinario, umiliante per i romani, e certifica il fallimento della politica. Paradossale anche il quadro che si dipana a sinistra con la finta comica delle primarie e con una Raggi che è riuscita a dettare legge a Conte e al pd, minando perciò l’asse nazionale in fieri m5s-pd-Conte-Letta sul quale il nuovo segretario del pd speranzoso contava (ma alle psicocomiche della sinistra torneremo in seguito).

Ed ecco che dietro le candidature e i volti avanza il conto Capitale. Salatissimo, degno di un Cesare. Vediamolo. Roma affoga nell’alta marea: dopo cinque minuti di pioggia ecco due metri di acqua, roba che nemmeno a Mumbai. E poi ci sono i rifiuti che sommergono la città imperiale mentre l’ennesimo autobus dell’Atac va in fiamme e mentre le buche sono voragini tanto da inghiottire auto parcheggiate. E allora sì che è lapalissiano aspettarsi il Cesare della politica, perché sta alla politica, agli eletti, discutere, decidere, risolvere. Ma la morale vale a poco, perché nella vita come in politica valgono i fatti. E allora vediamoli in sequenza scenica. Mentre la fumata in coabitazione centrodestra diveniva pian piano bianca e si confermava dal cilindro Meloni il nome Michetti, molti dirigenti pd e qualche big di cui celiamo il nome da una parte se la ridacchiavano e dall’altra si cospargevano il capo di cenere con il seguente ragionamento-rimpianto: potevamo candidare Carlo Calenda almeno avrebbe pescato nei moderati, alias indecisi e quella parte di fi e lega che non digerisce e ha mal digerito il diktat Meloni su Michetti. Eh… se Letta avesse avuto il pugno di ferro e avesse preso coraggio nel coinvolgere e imporre Calenda, pronto da prima delle calende greche su Roma, ai litigiosi malpacisti del pd!, si dicevano. Il quale Calenda, serafico, alla domanda se conoscesse Michetti ha risposto: “Sinceramente proprio non so chi sia”.

E sempre il rumor- che è molto più di un rumor- dice che gli scontenti del centrodestra, nello specifico fli e fi, voterebbero Calenda. Mentre sono in azione le prime mosse nel pd: chi parteciperà al nuovo Ulivo? Luigi Zanda lancia una federazione da Bersani a Renzi e Calenda. Notare: da Bersani a Calenda, non ci sono ad ora i soliti noti del pd. Il tutto per le elezioni politiche fissate per il 2023 cui i democrat non vogliono giungere impreparati. Segno che Calenda, andrà come andrà, si è mosso preventivamente in tempo e bene. Dunque tornando alla città eterna Meloni avrà un bel da fare a portare in braccio il Michetti, e Letta un bel da rimpiangere dopo il fallimento di Conte sulla Raggi, Conte che ha la responsabilità di non essere riuscito ad assicurare il nome di Zingaretti su Roma diventando al contrario l’oggetto del ricatto di Virginia che gli ha imposto il ritiro del povero Zingaretti, pena la deflagrazione in Regione Lazio con l’abbandono dei grillini. Ma per rimanere nel quadretto centrodestra vediamo chi è il novello Cesare Michetti che fa dichiarazioni altisonanti, usa il latino e vuole far tornare Roma Caput Mundi proprio mentre è in corso la presentazione del tridente al Tempio di Adriano.

I racconti dei pochi che lo conoscono dicono che Giorgia Meloni si fida e scommette su Michetti “perché sua sorella Arianna e il commissario regionale del Lazio per Fratelli d’Italia, Paolo Trancassini, hanno ascoltato Enrico” e ne sarebbero rimasti abbagliati. Lo ha raccontato Ilario Di Giovambattista, il direttore di Radio Radio, una emittente che si occupa soprattutto di calcio dove il Michetti conduce una trasmissione e dove da lì arringa con foga da avvocato tribuno. Sarebbe poi in contatto stretto con l’Anci, l’associazione nazionale Comuni italiani. Intanto in rete impazzano le Michetti gaffe, un esordio non brillante. Ecco le perle: “La pandemia è un’influenza sulla quale si è costruito un programma di governo”; “il vaccino è come il doping praticato nei Paesi dell’Est”; “ai tempi del covid il saluto romano è più igienico”. Ergo: Michetti è sotto l’ala di Giorgia Meloni. Lei assicura che il candidato non solo può vincere ma governare ottimamente. Se Michetti vince ha vinto Giorgia. Se Michetti perde e arranca Giorgia dovrà fare i conti con i suoi, mentre il tutto si riverbera nel problema federazione o non, matrimonio o separazione in casa. Per queste ragioni e per una serie di infinite variabili, la sfida Capitale è determinante per l’equilibrio nazionale. Mentre Milano ancora aspetta il suo candidato di centrodestra e sul versante a sinistra Beppe Sala, sindaco uscente e ricandidato per il centrosinistra, scalda i motori. A Salvini la scelta. Lui riflette e prende tempo fino a mercoledì. Sembra povero il carnet in cui pescare. Vedremo se anche nella città dal “mezzo sorriso d’Europa” motrice dell’economia si scivolerà sul civico e addio politica.

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