OH NO SU DRAGHI NON SI PUO’ MA GATTO SILVESTRO E’ IN AGGUATO

Il presidente del Consiglio ha raccontato in Parlamento che la ripresa sarà robusta, che il Recovery è una grande occasione, che è tornata la fiducia. Ma c’è un altro pezzo di verità che si chiama no tassi, inflazione, volontà dei paesi del Nord di richiamare la Bce ai suoi compiti d’istituto smettendo l’acquisto titoli. E non c’è da stare allegri perché i risparmi degli italiani sono come Titti, troppo appetitosi. 

Facciamo che i mercati, e i paesi del Nord Europa – Germania e satelliti compresi – sono gatto Silvestro interpretato da Christine Lagarde che pure un po’ al gattaccio nero ci somiglia, che la ricchezza degli italiani è Titti e che Mario Draghi interpreta un barattolone di passata di pomodoro. Secondo un vecchio, efficacissimo spot realizzato dalla Warner Bross, Silvestro cerca di ghermire in tutti i modi l’indifeso, ma scaltrissimo canarino e quando sta per farcela Titti si rifugia sul barattolone di sugo e allora Silvestro tra l’indignato e il rassegnato è costretto ad ammettere: “Oh no, su De Rica non si può”. Due giorni fa alle Camere è andato in scena un cartone animato. Mario Draghi ha fatto uno spot di se stesso e ha messo in scena per i parlamentari e per gli italiani una fiction. 

Che cosa ci ha raccontato il nostro premier? Tre cose: la ripresa c’è, il Recovery Fund ci serve, ma dobbiamo saperlo usare, non abbassiamo le difese contro il virus cinese altrimenti sono guai. Da navigatissimo banchiere e homo oeconomicus (per John Stuart Mill è il prototipo dell’attore del mercato: colui il quale agisce solo per la massimizzazione della ricchezza) sa che uno dei fattori irrazionali che contano di più è il tasso di fiducia. Da homo oeconmicus Draghi non se ne lascia contaminare, ma lo deve usare. E così racconta agli italiani non tutta la verità ma pone l’accento sul fatto che la ripresa è robusta, anzi che ce l’attendiamo ancora più decisa e che grazie al Recovery Fund avremo un booster (un acceleratore!), che la fiducia delle imprese è ai massimi e che i dati ci dicono per ora che il Pil crescerà del 4,2 quest’anno e del 4,4 il prossimo. Draghi rivela anche che la sua linea di politica economica (peraltro è anche l’unica percorribile) è: più sviluppo per non fare altro deficit e abbattere gradatamente il rapporto debito/pil negli anni a venire. Se si guarda ai numeri prepandemici l’Italia ha avuto un decennio di crescita anemica e a quei tassi considerando la massa di debito che abbiamo oggi le promesse di Draghi si traducono in: svuotiamo il Pacifico con un cucchiaio da brodo! Sarebbe anche il caso che si dicesse ogni tanto che quella crescita anemica era frutto di un combinato disposto micidiale: le politiche ragionieristiche imposte dal Nord Europa e dalla Germania che doveva tenere sotto controllo l’unico vero competitor nell’export e cioè noi, l’errore madornale di applicare un cambio fisso a una struttura produttiva poco capitalizzata e dunque dipendente per la sua sopravvivenza da due fattori di liquidità (credito e incasso) e molto flessibile. Perfino Keynes – il socialdemocratico – avrebbe spiegato a Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi i ciechi propugnatori dell’euroItalia che così si andava in anossia economica.

C’è quella straordinaria formuletta con cui John Hicks sintetizzò il pensiero del premio Nobel dell’economia che avrebbe dovuto suonare come campanello d’allarme: si chiama Is-Lm (Investiment-Saving/Liquidity-Money) e spiega in sostanza che bisogna tendere all’equilibrio perfetto tra economia reale ed economia finanziaria con la spesa pubblica che gioca un ruolo di regolatore o di acceleratore e con una strettissima relazione tra massa monetaria e spesa e tra risparmio e investimento. E’ di tutta evidenza che in un’economia come quella italiana dove abbiamo in contemporanea una considerevole massa di risparmio privato e una pesante situazione di deficit di finanza pubblica avere vincoli di bilancio e monetari come quelli che l’Euro ci ha imposto ha prodotto un crollo degli investimenti. Per un decennio anche incoraggiata dalla visione eurofideistica del Pd abbiamo vissuto una condizione di bassa offerta di moneta e di bassa spesa pubblica avendo come risultato un decremento in termini reali del Pil. Ora siamo in una situazione in cui abbiamo molta offerta di moneta e in previsione molta spesa pubblica, dobbiamo attenderci un rialzo dei tassi. E qui Draghi ha messo in scena la sua fiction rassicurandoci che i tassi non saliranno. In realtà lui si augura che salgano meno del tasso di crescita perché siano sostenibili. E ha nascosto anche altre incertezze.

Non da solo sia chiaro: anche Christine Lagarde dalla Bce continua a ripetere la ripresa c’è, ma l’incognita varianti del virus permane. Dovessimo raccontare tutta la verità dovremmo ammettere che l’area Euro è un fallimento. Siamo l’aggregato di consumo più consistente del mondo e siamo la zona che cresce di meno. Gli Usa ormai sono al 6,4% di crescita, per fine anno possono arrivare all’8, noi se va bene facciamo il 4 ed è già grassa. La ragione c’è; la mentalità calvinista germanica applicata a tutta Europa porta a dire: parchi nei consumi interni, uso massiccio (con corredo di sprechi) del welfare, espansione solo esterna. Risultato se i cinesi non comprano siamo alla frutta. E i cinesi con la pandemia si sono fatti autarchici, tant’è che la Germania non va poi così bene. Torniamo nel nostro ridotto. La favola di Draghi è bella da credere, assai meno da sottoscrivere. Con la pandemia nel 2020 abbiamo perso il 9,8% del Pil che si è contratto da 1800 miliardi a 1620 miliardi. Se quest’anno cresciamo  del 4,2 recuperiamo 68 miliardi di ricchezza nazionale che porta il pil a 1688 miliardi. L’anno prossimo se cresciamo del 4.4% sono 74 miliardi in più che portano l’ammontare del pil a 1762 miliardi, per tornare ai livelli pre virus cinese mancano ancora 38 miliardi. Ma nel frattempo abbiamo aumentato il debito pubblico di 160 miliardi e portato il rapporto deficit/pil al 7,6 %.

Bisognerebbe considerare anche che abbiamo perso oltre un milione di posti di lavoro e altri 500 mila li perderemo con il blocco dei licenziamenti,  che abbiamo 1,2 milioni di poveri in più, che la domanda è crollata del 9% e via discorrendo. Dunque la formula Draghi è una scommessa: se fossimo al tavolo di poker sarebbe un buio. C’è da sperare che gatto Silvestro non faccia: vedo! Perché Draghi omette molto di quello che ci sta intorno. Intanto che l’inflazione si è infiammata. Dice il nostro premier: è vero, ma è una contingenza. Sale perché sale il costo dell’energia e perché c’è tensione sulle materie prime, ma non è un’inflazione strutturale. Sicuro? Bene ci stiamo avviando al green deal e l’energia agli europei costerà comunque di più perché le rinnovabili costano di più del petrolio, così la mobilità sostenibile. E’ il motivo per cui il Recovery Fund siccome è declinato con le transizioni ecologiche e tecnologiche che aumentano i costi e distruggono lavoro sostituendo vecchie mansioni con nuove ma in misura minore ha un impatto limitato sul pil (solo il 2% in sei anni) e sull’occupazione: non si arriva, nelle stime, oltre 300 mila posti di lavoro in più. Ma noi ne dobbiamo recuperare almeno 1,8 milioni!

E se l’effetto inflazione si abbatte sui consumi e sui mutui con la contrazione di redito che gli italiani hanno subito avremo due shock: il primo che i risparmi andranno a finanziare la spesa corrente delle famiglie e non si tradurranno in investimenti, che la crisi di domanda frenerà la ripresa del pil. Nell’attesa delle transizione intanto il petrolio sta ai massimi perché la Cina lo chiede e perché le scorte Usa sono in contrazione. Jerome Powel governatore della Federal Reserve ha cominciato adire: l’inflazione negli Usa arriverà al 3,7%, il tasso di crescita atteso è del 7% (e forse superiore ndr) prima o poi dovremo ragionare dei tassi. E infatti il dollaro sta già sui massimi. Christine Lagarde da Francoforte cerca di tenere tutti tranquilli e ammette: l’inflazione è un po’ cresciuta (siamo vicinissimi al 2) ma noi continueremo col programma straordinario di acquisto titoli e non tocchiamo i tassi. Sicura? E se si muove Powel? Può stare ferma la Bce col rischio che proprio mentre l’Europa debutta con la prima emissione timida di Eurobond  gli investitori scappino in America perché i bond Usa renderanno di più se si toccano i tassi? E se l’inflazione va oltre il 2 per cento sicuri che i frugali, i balcanici, la stessa Bundesbank, la banca d’Austria non richiamino la Lagarde al suo compito d’istituto che a rigore è uno solo: tenere a freno l’inflazione?

E se a settembre in Germania, uscita di scena la Merkel, si risvegliano i falchi? Peraltro Vladis Dombroviskis (il capostazione dei conti europei) ce lo ha già detto: fate bene i conti perché dal 2023 torna il patto di stabilità. E se ripartono i tassi e torna lo spread? Allora Draghi che farà? Basta lui come il barattolo di pomodoro o gatto Silvestro stavolta si pappa Titti? L’Europa chiederà all’Italia di mettere mano al risparmio privato per abbassare il debito. Si può evitarlo? Forse ai mercati come scudo basta il barattolo di pomodoro marca Draghi, ma ai falchi che stanno a Bruxelles forse no. La risposta e la difesa stanno in un ragionamento politico, ma se si perde tempo dietro le genuflessioni dei calciatori e i decreti arcobaleno – all’homo oeconomicus, sia detto per inciso, non gliene può importare di meno – c’è il rischio che Silvestro abbia campo libero. Nella prossima puntata proviamo a capire se c’è una via d’uscita. Per ora sappiate che il racconto di Draghi è un cartone animato.

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