LO SCHIFO DELLA GUERRA E IL GRANDE ESODO, LA RUSSIA SENZA BAVAGLIO CONTRO LA MOSSA PUTIN

L’immagine della disperazione rimarrà questa: la coda di oltre 15 chilometri per entrare in Romania passando dal valico di frontiera di Porubne-Siret. L’est Europa deve accogliere l’emergenza e l’Unione europea deve gestire la crisi con il rischio di impantanarsi. Due ulteriori fattori di crisi nella follia e nello schifo della guerra.

Vediamo perché. Partiamo da Kiev. L’esercito ucraino afferma di aver respinto un attacco russo nella notte scorsa mentre il grande esodo si schianta sulla Ue impreparata. Odessa, Mariupol, Kharkiv: centinaia di migliaia sono le persone in fuga dalle città in guerra, minacciate dalle bombe e dai carri armati russi. Un esodo di massa in automobile, in treno, ma anche a piedi, per tentare di varcare il lungo confine occidentale, con le stazioni ferroviarie prese d’assalto e le principali arterie stradali intasate dal traffico. Almeno 100.000 cittadini ucraini sono già arrivati in Polonia dall’inizio dell’invasione russa, così dicono le fonti ufficiali.

A Bucarest il governo sta applicando la politica delle porte aperte, accogliendo tutti indistintamente. Nell’est europeo è emergenza rifugiati, con l’Unione europea chiamata a gestire l’esodo che rischia di divenire una vera e propria crisi umanitaria. Racconta l’Ansa dell’ultim’ora In Romania come in Polonia si contano già oltre 100 mila rifugiati, mentre in Slovacchia ne sono entrati più di 10 mila in meno di 24 ore.

E col passare delle ore cresce anche il flusso degli ucraini diretti verso l’Ungheria e la Moldavia. “Ma la situazione militare rende difficile stimare i numeri e fornire aiuti”, ha spiegato all’Ansa, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) Filippo Grandi. Draghi sente il leader ucraino Zelensky. La Ue impreparata si trincera con le sanzioni. Ma qualcosa sta accadendo sul “fronte” senza bavaglio della Russia.

Quel fronte cioè fatto non solo di gente comune, ma di accademici, intellettuali vicini al Cremlino, giovani, star della tv e le cosiddette “figlie” delle élite che a pochi giorni dell’inizio della guerra sui social si fanno sentire con le parole shock” e “vergogna”. Un sondaggio indipendente ha rivelato che meno di un russo su due era favorevole al riconoscimento delle due repubbliche separatiste del Donbass.

 

TUTTE LE PETIZIONI E I NO AL CONFLITTO

Le petizioni per dire no al conflitto – si apprende dall’Agi si moltiplicano: quella promossa dall’attivista per i diritti umani Lev Ponomarev sul sito Change.org, che chiede la fine dell’invasione russa, ha ottenuto oltre mezzo milione di firme in poco più di 24 ore. Il giorno dopo l’invasione, un gruppo di ricercatori e giornalisti scientifici russi ha scritto un lettera aperta di condanna dell’aggressione militare.

“Si tratta di una decisione fatale che causerà enormi perdite umane e minerà le basi del sistema di sicurezza collettiva”, recita il testo firmato da oltre 2mila studiosi, “la responsabilità per aver scatenato una nuova guerra in Europa ricade interamente sulla Russia”

Non è una dichiarazione da poco se si calcola che molti dei firmatari è membro d’istituzioni statali come l’Accademia delle Scienze russa. Tra chi ha aderito figurano anche Andrei Geim e Konstantin Novoselov, vincitori del premio Nobel nel 2010, per gli studi sul grafene.
A condannare su Instagram l’invasione dell’Ucraina anche le figlie di uomini dell’élite russa: Lisa Peskova, primogenita del portavoce del Cremlino Dmitri Peskov e Sofia Abramovich, figlia di uno degli oligarchi della prima ora, Roman Abramovich. “La Russia vuole la guerra con l’Ucraina”, con la parola ‘Russia’ barrata e sostituita da ‘Putin'”, ha scritto Sofia Abramovich, aggiungendo che “la più grande e più efficace bugia della propaganda del Cremlino è che la maggior parte dei russi sono con Putin”.

Già due settimane fa, i sondaggi indipendenti del Levada registravano un fatto inedito: la guerra era la seconda paura più grande dei russi. Sempre il Levada ha rilevato, pochi giorni fa, che solo il 45% dei russi è in favore del riconoscimento delle due repubbliche separatiste del Donbass, a cui poi è seguito l’intervento militare.

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