DEBITO PUBBLICO E DEBITO DEI PARTITI SOTTO L’OMBRELLONE CHIUSO DI DRAGHI

Barra dritta. Ben ha fatto Mario Draghi a tenere la barra dritta sull’aumento del debito pubblico per far fronte alle emergenze della crisi energetica, opponendo un insormontabile rifiuto all’ipotesi di effettuare qualunque intervento ricorrendo ad ulteriore debito. Sia ben chiaro: questa non è la soluzione del problema, ma è altrettanto chiaro che è la precondizione affinché si possa trovare una soluzione del problema.

Non bisogna dimenticare che le possibilità di sopravvivenza dello Stato italiano sono legate alla sua credibilità quale debitore, poiché la sua dipendenza dai mercati finanziari è totale. E ciò a maggior ragione in questo specifico momento storico a fronte dell’impennata inflazionistica, del rialzo dei tassi di interesse, della crisi energetica e geopolitica indotta dalla guerra, e con un Governo che benché autorevole e rispettato è stato irresponsabilmente sfiduciato nel momento meno opportuno.

Accettare (o subire) l’idea di finanziare interventi ricorrendo a nuovo debito avrebbe indebolito in maniera significativa la credibilità dello Stato quale debitore, proprio mentre crescono le pressioni sui tassi di interesse e la speculazione si arma per dare battaglia sui titoli del nostro debito pubblico.

In questa ottica è da accogliere senz’altro con favore la notizia che quelli che sembrano essere i due principali partiti  all’esito delle future elezioni, Fratelli d’Italia e Partito Democratico, si sono allineati alla posizione di Mario Draghi probabilmente per la presenza nei loro schieramenti di personaggi seri e responsabili (se ne condividano o meno le specifiche posizioni) quali Carlo Cottarelli per il Pd e Giulio Tremonti per FdI.

Questo potrebbe essere un grande lascito del governo Draghi al Paese a cui bisognerebbe aggiungere l’impegno a proseguire con quello che potremmo chiamare il metodo PNRR, cioè spesa pubblica finalizzata con chiarezza, per obiettivi misurabili, in tempi prestabiliti e rispettati. Questa sarebbe una vera rivoluzione per l’economia del paese per troppo tempo affossata da una spesa pubblica inefficiente, destinata ad obiettivi generici, con risultati non misurabili oggettivamente e con disprezzo di ogni regola economica.

* Economista Università di Torino

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