CARO BOLLETTE, L’ALTRA FACCIA DEI SUSSIDI

Non esite una soluzione semplice di un problema straordinariamente complesso come la dipendenza energetica italiana (e di altri paesi europei) da produttori esteri e del conseguente aumento delle bollette.

La risposta degli Stati è stata fino ad oggi quello di sussidiare in maniera generalizzata la domanda di energia da parte di imprese e privati (leggi: pagare parte delle bollette). L’Italia ha già speso in 12 mesi circa 60 miliardi, una cifra pari al 3,3% del Pil (proporzionalmente più della Germania che ha deciso di spendere 200 miliardi, pari al 5% del Pil, ma spalmati su tre anni)

Il punto. La scelta degli Stati di intervenire con soldi pubblici per alleviare il costo della bolletta in maniera generalizzata ad imprese e famiglie è una scelta giusta? A costo di dire una cosa totalmente controcorrente, ritengo di no (se non nel brevissimo periodo per far fronte ad uno shock improvviso).

Sussidiare la domanda di energia, anelastica al prezzo per definizione, raggiunge l’effetto opposto, cioè crea le condizioni per mantenere alto il prezzo. Concretamente, l’ipotetico venditore, se si aspetta che lo Stato sussidi la domanda, continuerà ad aumentare il prezzo (o a non ridurlo) perché l’eccesso di prezzo sarà assorbito dagli Stati.

Quando andiamo al distributore di benzina (l’altra fonte energetica per la quale dipendiamo dall’estero) ne abbiamo una dimostrazione empirica, senza scomodare astruse analisi economiche. Il petrolio oggi costa come otto anni fa, ottobre 2014; al tempo il prezzo medio della benzina era di 1,72 euro al litro; oggi il prezzo medio è 1,81 al litro nonostante lo Stato si accolli altri 30 centesimi (in totale, quindi il prezzo da confrontare con il 2014 è 2,11 euro). Il sussidio raggiunge così, paradossalmente, esattamente l’effetto opposto rispetto quello ricercato.

Cosa fare dunque? Proseguire con ulteriori sussidi generalizzati è insostenibile e non farà altro che aumentare i profitti dei venditori. Bisognerà quindi centellinare gli interventi pubblici, scegliendo accuratamente e meticolosamente le famiglie in reale stato di necessità e le imprese a reale rischio di chiusura.

È una ricetta amarissima, ma più tardi si inizia, peggio sarà.

* Economista

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