NUOVO PATTO DI STABILITÀ, RIFORME E QUALITÀ DELLA SPESA NON PERVENUTE

“Già prima della pandemia, le regole di bilancio dell’UE andavano riformate. Sono troppo opache ed eccessivamente complesse. Hanno limitato il campo d’azione dei Governi durante le crisi e sovraccaricato di responsabilità la politica monetaria. La nostra strategia è quella di mantenere sotto controllo la spesa pubblica ricorrente attraverso riforme strutturali ragionevoli. Il programma Next Generation EU è stato un successo per i meccanismi che ha introdotto per la valutazione della qualità della spesa pubblica e per le sue modalità di finanziamento. In quanto tale, offre un utile modello per il futuro”.

Così scrivevano sul Financial Times il 23 dicembre 2021 Daniel Macron e Mario Draghi disegnando il percorso che avrebbe dovuto condurre alle nuove regole di Governance dell’Euro. Parole accolte con comprensibile soddisfazione da chi – come chi scrive -vedeva nella valutazione oggettiva e misurabile della “qualità” della spesa pubblica la via di uscita da alcune contraddizioni di fondo della incompleta costruzione di una moneta unica (l’Euro) condivisa da tante economie e Stati molto diversi tra di loro.

Purtroppo, lo spirito di quelle parole sembra in buona parte perso nella proposta di riforma del Patto di Stabilità elaborata dalla Commissione Ue: buona nell’ipotizzare percorsi individuali per ogni Stato per il rientro dagli eccessi di debito, inconsistente (e forse arbitraria) sotto il profilo della valutazione della qualità della spesa pubblica quando introduce il parametro di “spesa netta” (al netto degli interessi e delle spese non discrezionali). Insomma, un passo indietro rispetto al modello Next Generation Ue che offriva agli Stati supporto finanziario a fronte di riforme ed investimenti concordati.

D’altro canto, soprattutto in Italia, anche lo stesso spirito del Next Generation Ue appare sbiadito, direi perso: il modello era basato sulla implementazione delle riforme necessarie al rilancio dell’economia come condizione per ottenere i fondi. Ora l’attenzione è invece totalmente spostata sulla spesa dei fondi, lasciando nell’ombra le riforme strutturali, in mancanza delle quali il Paese continua a marciare – quando va bene – con il freno a mano tirato.

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