IL DEBITO PUBBLICO PICCHIA: 327 MILA EURO AL MINUTO

Scorrono inutilmente le settimane che ci separano dal 31 dicembre 2023. Cosa succede in quella data? E’ la data entro la quale devono essere riformate le regole della finanza pubblica per i Paesi aderenti all’Euro, ed in mancanza di una riforma ritornano in vigore le vecchie ed inefficaci regole di bilancio (rapporto debito- Pil inferiore al 60% e deficit- Pil inferiore al 3%). Una occasione storica, forse irripetibile, per superare gli enormi limiti dei parametri stabiliti nel trattato di Maastricht del 1992 (un’era geologica fa).

Il tempo scorre nell’indifferenza del dibattito italiano, tant’è che l’unico contributo sul punto è arrivato il 7 settembre con un notevole intervento sull’Economist firmato da Mario Draghi, ormai fuori dalla scena politica italiana, e scritto quasi da futuro Presidente della Commissione Ue (mio personale wishful thinking). Le uniche posizioni nostrane si limitano alla richiesta, farfugliata, di togliere dal conteggio del deficit le spese del Pnrr e per il sostegno all’Ucraina (come se si potessero pagare con i soldi del Monopoli).

Eppure, un paese ad altissimo debito come il nostro ha il massimo interesse a definire criteri dirimenti per la qualità della spesa pubblica. I criteri meramente quantitativi quando sono rigidi producono atteggiamenti ottusi da parte dei burocrati di Bruxelles; quando diventano flessibili, lasciati in mano ai nostri Governi generano mostri economici (esempio: il super bonus).

L’indifferenza alle regole della finanza pubblica e dell’euro si inserisce in un quadro macroeconomico preoccupante: da un lato la congiuntura internazionale ed interna registra una brusca frenata del Pil; dall’altro il debito pubblico ha toccato a luglio il suo massimo storico, cresciuto di circa 100 miliardi rispetto all’anno precedente (471 milioni al giorno, 19 milioni all’ora, 327 mila euro al minuto). Il tutto con tassi di interesse sui Btp stabilmente sopra il 4%, tant’è che a questo punto non conta solo lo spread, ma anche il valore assoluto della spesa per interessi che già nel 2022 era passata da 64 ad 83 miliardi.

L’amara realtà è che la spesa pubblica non è pensata al servizio del Paese, ma come strumento per acquisire consenso.

* Economista

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